Ad Haiti la situazione politica è talmente instabile che rischia di virare verso l’autoritarismo e la dittatura: il presidente Jovenel Moïse da un anno non vuole lasciare l’incarico e governa per decreto, in assenza di un parlamento. Per il 25 aprile ha indetto un referendum, ritenuto costituzionalmente illegittimo, che può conferirgli maggiori poteri. La popolazione manifesta in continuazione e si creano blocchi stradali. “Un mix esplosivo che sta trasformando Haiti in una bomba ad orologeria”, dice al Sir Clara Zampaglione, operatrice di Caritas italiana ad Haiti. Il referendum del 25 aprile potrebbe infatti accrescere i poteri del presidente Moïse ma è molto contestato dai giuristi perché la Costituzione del 1987 non permette una modifica per referendum. Anche la Chiesa haitiana, nelle sue diverse espressioni, è critica da tempo. “C’è una chiara volontà autoritaria – commenta Zampaglione – perché non si parla di elezioni legislative o amministrative, che già dovrebbero essere state indette. La situazione è preoccupante. Se passa il referendum la svolta sarà la dittatura”. Per cercare di contrastare la violenza delle gang e i numerosi sequestri il 18 marzo il presidente Moïse ha imposto lo stato di emergenza in quattro aree periferiche della capitale off limits. Un provvedimento che però limita diritti fondamentali dei cittadini e conferisce poteri eccezionali all’esecutivo e alle forze dell’ordine. “Haiti è un Paese molto fragile in cui i diritti e le libertà non vengono rispettati – afferma – La situazione è molto tesa”.