“Il filo d’oro che dà senso alle nostre giornate” e “raccoglie le ferite, impreziosendole, è l’amore donato e ricevuto”. Lo sostiene mons. Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola e vescovo di Carpi, nel messaggio per la Pasqua nella quale, si chiede, “che suono può avere la parola ‘speranza?”. “Tutti speriamo – e lo speriamo davvero – che nei prossimi mesi la pandemia si arresti e la vita sociale riparta; tutti speriamo che le profonde ferite di chi è stato colpito dal lutto e dalla malattia, dall’angoscia e dalla povertà, si possano a poco a poco curare e rimarginare; tutti speriamo che questa esperienza ci insegni ad essere più attenti all’essenziale e meno al superfluo, più appassionati alle relazioni e meno alle polemiche”, osserva il presule precisando tuttavia che la speranza pasquale non è solo “ottimismo” o “rilancio”, ma è “rigenerazione”, cioè “nuova nascita”.
Dalle ceneri “deve rinascere qualcosa, prendendo atto di ciò che è morto; dobbiamo ripartire, certo, ma non continuando a vivere come prima – con tante ingiustizie, superficialità e risentimenti – ma lasciandoci purificare dall’esperienza del sepolcro. Per i cristiani, l’ultima parola non è morte, ma vita”. “Il filo d’oro che dà senso alle nostre giornate, che mette insieme artisticamente i pezzi della nostra vita e raccoglie le ferite, impreziosendole – assicura Castellucci -, è l’amore donato e ricevuto. È l’amore che tiene insieme i pezzi della nostra vita, che cuce le nostre ferite. Solo l’amore rigenera: se sapremo testimoniare con la vita la capacità rigenerante dell’amore, se sapremo raccogliere i cocci delle nostre fragilità e legarli insieme con il filo d’oro dell’amore, accenderemo anche in questa Pasqua una luce che perfora il buio della morte, un riflesso di quell’oro prezioso che è l’amore di Cristo, uscito rigenerato dal sepolcro”.