“Chi ama non si chiude in sé stesso quando le cose vanno male, ma risponde al male con il bene, ricordando la sapienza vittoriosa della croce”. Lo ha spiegato il Papa, nell’omelia della Messa celebrata nella cattedrale caldea di San Giuseppe, ultimo impegno pubblico della seconda giornata del suo viaggio in Iraq. “Il testimone di Dio fa così: non è passivo, fatalista, non vive in balìa delle circostanze, dell’istinto e dell’istante, ma è sempre speranzoso, perché fondato nell’amore che ‘tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta’”, il ritratto di Francesco sulla scorta di San Paolo. Le Beatitudini, in altre parole, “non chiedono di fare cose straordinarie, di compiere imprese che vanno oltre le nostre capacità. Chiedono la testimonianza quotidiana. Beato è chi vive con mitezza, chi pratica la misericordia lì dove si trova, chi mantiene il cuore puro lì dove vive. Per diventare beati non bisogna essere eroi ogni tanto, ma testimoni ogni giorno. La testimonianza è la via per incarnare la sapienza di Gesù”. “È così che si cambia il mondo: non con il potere o con la forza, ma con le Beatitudini”, ha garantito il Papa: “Perché così ha fatto Gesù, vivendo fino alla fine quel che aveva detto all’inizio”. “La pazienza di ricominciare ogni volta è la prima qualità dell’amore, perché l’amore non si sdegna, ma riparte sempre”, ha detto Francesco: “Non si intristisce, ma rilancia; non si scoraggia, ma resta creativo. Di fronte al male non si arrende, non si rassegna”. Di fronte alle avversità, infatti, “ci sono sempre due tentazioni”, ha osservato il Papa: “La prima è la fuga: scappare, voltare le spalle, non volerne più sapere. La seconda è reagire da arrabbiati, con la forza. È quello che accadde ai discepoli nel Getsemani: davanti allo sconcerto, molti si diedero alla fuga e Pietro prese la spada. Ma né la fuga né la spada risolsero qualcosa. Gesù, invece, cambiò la storia. Come? Con la forza umile dell’amore, con la sua testimonianza paziente. Così siamo chiamati a fare noi; così Dio realizza le sue promesse”.