“C’è un pericolo, che si può insinuare anche nella più pura prospettiva di fede, che consiste nel voler a forza spiritualizzare la concretezza storica della vita del Signore, quasi si abbia paura di toccare lo scandalo dell’umanità in cui il Figlio di Dio si è fatto presente tra noi. Nulla di più sbagliato, perché su questa strada di falsa spiritualizzazione ci si può trovare ben presto a cadere nella riduzione mitologica del mistero dell’incarnazione o nella sua evaporazione nella gnosi”. È il monito del cardinale arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, nell’omelia della messa presieduta ieri, Domenica delle Palme, nella cattedrale di Santa Maria del Fiore. “È anche la deriva che porta a chiudere gli occhi di fronte alle fragilità umane che ci circondano, a non sentire la concretezza dell’essere fratelli facendoci carico gli uni delle sofferenze degli altri”, ha proseguito Betori, secondo il quale “questa concretezza della solidarietà fraterna l’abbiamo invece misurata in questo tempo di pandemia come l’unica forma che permette di sentirci ancora umani”. Di qui un’esortazione: “Sarà importante portarla con noi, come una ricchezza a cui non rinunciare, oltre questa emergenza, perché, come segnala Papa Francesco: ‘Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi’”.
Nelle vicenda di Gesù “sta il senso profondo della vita umana, che si disperde fuori dal legame con Dio. È la sfida che sta di fronte alla Chiesa e ai credenti oggi – ha sottolineato ancora il porporato –: non lasciarsi soggiogare dai paradigmi che dominano la cultura contemporanea, in particolare il soggettivismo individualista e il biologismo che nega spazio alle ragioni dello spirito e alle domande sul senso della vita e del mondo; al tempo stesso essere capaci di una testimonianza che mostri come la fede, Gesù e il suo vangelo abbiano da dire qualcosa di risolutivo agli interrogativi più profondi del cuore”.