“La pandemia ci pone di fronte ai rischi della condizione globale. Il virus rivela che viviamo in un mondo in cui tutto è connesso. I fili della globalizzazione biologica, antropologica, economica, politica sono intrecciati tra loro in modo inestricabile”. Lo scrive l’economista Stefano Zamagni nel numero di aprile di Vita pastorale, anticipato al Sir. “Occorre pensare a un cambio di paradigma – osserva -, assumendo la vulnerabilità come condizione permanente. È dalla cura della vulnerabilità, non dalla potenza della guerra al nemico, che si genera la creatività umana”.
La tesi di Zamagni riflette il fatto che “questa pandemia, che già sappiamo non essere l’ultima, costituisce una straordinaria opportunità che non va sprecata per reimmettere il Paese sul sentiero dello sviluppo umano integrale”. L’economista chiede di fare attenzione alla “dimensione socio-relazionale” e a quella “culturale-spirituale”. “Il fatto è che le persone reali soffrono non solamente per il dolore fisico o per la riduzione dei livelli di benessere materiale, ma anche per la situazione di abbandono e isolamento in cui vengono a trovarsi in conseguenza della malattia”. L’attenzione si concentra poi sull’impatto della pandemia sul senso di marcia della Chiesa. “Anche qui le attenzioni maggiori sono andate a questioni quali la messa in streaming, senza popolo – aggiunge -; le confessioni per telefono o per skype; la riduzione delle attività degli oratori; la insufficiente catechesi parrocchiale; lo spiazzamento delle strutture caritatevoli diocesane a opera di enti quali la Protezione civile e altri. C’è, certamente, del giusto in tali preoccupazioni, ma possibile che non si percepisca il rischio che la Chiesa corre se spreca questa occasione per un ripensamento radicale circa il senso della sua presenza in società connotate dalla seconda secolarizzazione?”, si chiede l’economista.