“L’opera di Dante è parte integrante della nostra cultura, ci rimanda alle radici cristiane dell’Europa e dell’Occidente, rappresenta il patrimonio di ideali e di valori che anche oggi la Chiesa e la società civile propongono come base della convivenza umana, in cui possiamo e dobbiamo riconoscerci tutti fratelli”. Ne è convinto il Papa, che, nella lettera apostolica “Candor lucis aeternae”, cita “alcuni momenti ed eventi della sua esistenza, per i quali egli appare straordinariamente vicino a tanti nostri contemporanei e che sono essenziali per comprendere la sua opera”. “Alla città di Firenze, dove nacque nel 1265 e in cui si sposò con Gemma Donati generando quattro figli, fu dapprima legato da un forte senso di appartenenza che, però, a causa dei dissidi politici, nel tempo si trasformò in aperto contrasto”, ricorda Francesco: “Tuttavia, non venne mai meno in lui il desiderio di ritornarvi, non solo per l’affetto che comunque continuò a nutrire per la sua città, ma soprattutto per essere incoronato poeta là dove aveva ricevuto il battesimo e la fede”. Guelfo di parte bianca, “si trova coinvolto nel conflitto tra Guelfi e Ghibellini, tra Guelfi bianchi e neri, e dopo aver rivestito cariche pubbliche sempre più importanti, fino a diventare Priore, per le avverse vicende politiche, nel 1302, viene esiliato per due anni, interdetto dai pubblici uffici e condannato al pagamento di una multa”. “Dante rifiuta il verdetto a suo avviso ingiusto, e il giudizio nei suoi confronti si fa ancora più severo”, racconta il Papa: “Esilio perpetuo, confisca dei beni e condanna a morte in caso di ritorno in patria. Comincia così la dolorosa vicenda di Dante, il quale cerca invano di poter ritornare nella sua amata Firenze, per la quale aveva combattuto con passione. Egli diventa così l’esule, il ‘pellegrino pensoso’, caduto in una condizione di ‘dolorosa povertade’ che lo spinge a cercare rifugio e protezione presso alcune signorie locali. Non accettando, poi, le umilianti condizioni di un’amnistia che gli avrebbe consentito il rientro a Firenze, nel 1315 viene nuovamente condannato a morte, questa volta insieme ai suoi figli adolescenti. L’ultima tappa del suo esilio fu Ravenna, dove venne accolto da Guido Novello da Polenta, e dove morì, di ritorno da una missione a Venezia, all’età di 56 anni, nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321”. La sua tomba, ancora oggi, è meta di innumerevoli visitatori e ammiratori del Sommo Poeta, padre della lingua e della letteratura italiana”.