“Mons. Romero direbbe che, oltre agli idoli di cui parla la Conferenza di Puebla – denaro, potere e piacere – ci sono orgoglio, durezza di cuore, indifferenza alla sofferenza degli umili. Questo è ciò che ha trovato nel suo cammino come pastore di una città schiacciata nella sua dignità. Oggi, senza dubbio, includerebbe tutti gli attacchi contro la casa comune, il dramma dei migranti e la tragedia di coloro che sono stati scartati dalla società. Cioè le priorità di Papa Francesco”. È quanto sostiene il card. Gregorio Rosa Chávez, vescovo ausiliare di San Salvador e già segretario particolare del santo martire, in un’intervista pubblicata sul sito del Consiglio episcopale latinoamericano in occasione del 41° anniversario del martirio dell’arcivescovo di San Salvador, celebrato ieri insieme alla Giornata dei missionari martiri.
Il porporato tratteggia anche alcuni lati della personalità e della spiritualità di Oscar Romero: “Era taciturno e cupo nel carattere. Egli stesso, nei suoi ritiri spirituali, si qualifica come un misantropo. Il suo psicologo di fiducia lo ha caratterizzato con tre parole: ‘impulsivo, compulsivo e perfezionista’. Il nostro santo ha riconosciuto che era vero. Ma tutto cambiava quando si trovava davanti a un microfono: e diventò il ‘profeta del fuoco’ che tutti conosciamo”. Il card. Rosa Chávez aggiunge che le sue parole costituivano una “lectio divina molto incarnata”. E prosegue: “Era venuto al mondo per essere uomo della parola. Il suo sacerdozio è segnato da un lavoro instancabile come predicatore. Ma quella parola è maturata in lunghi periodi di preghiera e molte ore di studio”. Nel suo diario ci racconta come “per tutta la vita ha cercato di lasciarsi guidare dallo Spirito Santo”.