“Rimane impegno delle nostre famiglie religiose quello di ‘ospitare’ e offrire una casa con possibilità di rapporti interpersonali sananti e curanti a molte persone che continuano a bussare alle nostre porte le quali, a causa della difficoltà della loro situazione di provenienza, non riescono a vedere soddisfatti i loro bisogni assistenziali”. Così, in un documento a un anno dall’inizio della pandemia, le superiore e i superiori generali di alcune Congregazioni religiose dedite alla cura sanitaria e all’assistenza dei più fragili: “Quando ci sono patologie croniche invalidanti, constatiamo che la famiglia ci chiede di essere sostenuta con concretezza, amore e competenza professionale anche con l’accoglienza in istituzioni, per dare alla stessa famiglia oltre che alla persona anziana o disabile, quella sicurezza che permetta serenità di relazioni. Abbiamo così sperimentato che una collaborazione efficace tra istituti residenziali e famiglia di origine è possibile e dà buoni risultati in termini di qualità della vita e continuità assistenziale”. In tal senso, si legge nel documento, “le risposte ai bisogni delle persone anziane o con disabilità, soprattutto se indigenti, possono e devono essere diverse a seconda della situazione sociale e clinica, articolandosi dalla permanenza in famiglia, al social-housing e a comunità di vita fino, quando fosse necessario, alla residenzialità in struttura”. Le superiori e i superiori generali fanno notare anche che “la sofferenza causata dalla pandemia, a volte, è stata l’occasione per alcuni interventi volti a spingere organi di governo centrali o locali perché si favorisca la de-istituzionalizzazione di ogni tipo di assistenza a persone fragili per causa di disabilità o per età e malattia e che, per la loro non autosufficienza, sono accolte in Residenze Socio Assistenziali o Residenze Sanitarie per Disabili”. A questo proposito, concludono, “partendo dall’esperienza di tante nostre realtà, ci pare utile che venga sostenuta la presenza di strutture che, per la possibilità di fornire prestazioni anche di tipo più specialistico, possano essere al cuore delle reti di servizi anche sul territorio, diventando così un nucleo animatore di quel ‘continuum’ socio-sanitario auspicato anche dal recente documento dell’Accademia per la Vita”.