“Tracciare un bilancio dei cinque anni trascorsi dalla firma, il 18 marzo 2016, dell’accordo fra Unione europea e Turchia per ridurre l’immigrazione irregolare verso la Grecia non è un’operazione semplice né lineare”. Lo si legge, nell’anniversario del controverso accordo, sulla rivista on line Affari internazionali (dell’Istituto affari internazionali), in un articolo di Luca Barana. “L’intesa ha costituito una delle principali risposte dell’Ue alla cosiddetta crisi migratoria del 2014-15 e all’incapacità degli Stati membri di concordare su meccanismi di redistribuzione dei richiedenti asilo, una problematica tuttora sul tavolo. Di fronte a tale immobilismo interno, l’Ue ha promosso un accordo che di fatto esternalizza il controllo delle frontiere europee a un Paese terzo, la Turchia”. Barana aggiunge: “Ankara si è infatti impegnata a riammettere un migrante irregolare giunto sulle isole greche nel Mar Egeo per ogni rifugiato siriano accolto in Europa. In più, l’Ue prometteva un finanziamento da 6 miliardi di euro alla Turchia per gli anni successivi, in modo da garantire l’accoglienza di milioni di rifugiati siriani sul territorio turco. In cambio della sua collaborazione, la Turchia otteneva anche la promessa di un’accelerazione nel processo di facilitazione dei visti per i cittadini turchi in ingresso in Europa”.
L’accordo “può essere valutato sotto diverse angolazioni. In termini di arrivi irregolari, pare aver raggiunto il proprio obiettivo: nei mesi e anni successivi, il trend degli arrivi in Grecia ha conosciuto una riduzione… D’altro canto, la riduzione dei numeri nel Mediterraneo orientale è poi coincisa con un aumento degli arrivi irregolari sulla rotta del Mediterraneo centrale verso l’Italia”. Inoltre, un’altra “conseguenza a lungo termine spesso sottovalutata è costituita dal deterioramento della situazione umanitaria nelle isole greche”. Il contesto in cui si muovono oggi Bruxelles e Ankara è tuttavia “profondamente cambiato rispetto a cinque anni fa, non solo per l’impatto della pandemia. Negli anni successivi all’accordo, le tensioni geopolitiche fra le due parti si sono approfondite, dalla competizione per le risorse energetiche nel Mediterraneo orientale al crescente protagonismo turco in scenari di conflitto come la Libia”. L’accordo pone “dunque ancora oggi delle sfide strutturali alle politiche migratorie europee, che dovranno essere affrontate abbandonando la logica emergenziale che ne decretò la firma cinque anni fa”.