Ancora una giornata di sangue ieri ma il numero delle vittime è incerto. Gli attivisti – citati da fonti locali del Sir – affermano che più di 50 manifestanti sono stati uccisi in uno dei giorni più sanguinosi in Myanmar e che solo a Yangon le vittime sono state almeno 41. Le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco contro i manifestanti in una zona della città, Hlaing Tharyar. Ulteriori morti e feriti sono stati segnalati in altre parti del Paese. La Giunta militare golpista ha quindi imposto da ieri sera la legge marziale in due zone della capitale Yangon: Hlaing Tharyar e la vicina borgata Shwepyitha. Sempre da fonti Sir, si apprende che da questa mattina, l’accesso Internet sui cellulari e il wifi – fondamentale per lo scambio di informazioni – è stato interrotto fino a tempo indeterminato. Nella tarda serata di ieri, centinaia di persone si sono sedute con le candele accese alzate all’incrocio principale su Hledan Road, nel centro di Yangon. Radio Veritas Asia racconta sul suo sito che due giovani sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco a Pyay, nella regione di Bago, il 13 marzo durante una violenta repressione dei manifestanti. I due ragazzi erano giovanissimi. Maung Htet Myat Aung era uno studente di 19 anni al primo anno dell’Università Navale. L’altro è il ventenne Maung Phyo Wai Yan Kyaw. Erano entrambi buddisti, ma a pregare nelle loro case, sono andati anche preti e suore cattolici. Il loro funerale si terrà il 15 marzo. Sempre ieri, nello Stato del Kachin, le Chiese cristiane hanno pregato insieme per la pace in Myanmar. Sulla sua pagina Facebook, l’ambasciata cinese ha detto che alcune “fabbriche sono state saccheggiate e distrutte e molti dipendenti cinesi sono rimasti feriti e intrappolati”. Ha quindi chiesto al Myanmar di “prendere ulteriori misure efficaci per fermare tutti gli atti di violenza, punire gli autori in conformità con la legge e garantire la sicurezza della vita e della proprietà delle aziende e del personale cinesi in Myanmar”.