“La ridondanza del dono è un’intuizione maturata in parecchi anni grazie allo studio e all’insegnamento della ecclesiologia. Mi fa piacere che la rilettura venga condivisa”. Così Roberto Repole, docente di Teologia sistematica presso la sezione di Torino della Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale e autore del libro “La Chiesa e il suo dono. La missione tra teologia e ecclesiologia”, presentato ieri on line. “Più vado avanti – ha spiegato – e più trovo disperante una ecclesiologia che non si strutturi. Per quanti tentavi faremo non ci sarà mai una Chiesa che sarà all’altezza delle attese. Solo recuperando una visione mistica penso che avremo delle energie ecclesiali”. “Sono stato affascinato dall’idea che la Chiesa possa rifondarsi nella ridondanza del dono. Il problema della Chiesa in uscita è: cosa esce? C’è qualcosa che può uscire? Altrimenti cadiamo nell’ennesima forma retorica ecclesiastica e teologica. La carità che la Chiesa esercita all’esterno non può che essere l’effluvio di una carità esercitata all’interno”. Repole ha proposto il tentativo di rileggere il dono. “Vederlo – ha osservato – come antitetico a qualsiasi forma di economicità. Il disinteresse però ha un interesse preciso: l’altro. La Chiesa media l’ospitalità in Cristo ma chiede accoglienza. Sempre di più penso che mettersi nella condizione dell’ultimo di tutti è ciò che permette che non ci sia solo quel popolo ma tutti i popoli”. Il paradigma del dono offre anche un’altra prospettiva: “Credo – ha affermato – che una delle malattie più profonde, anche spirituali, sia sentirci un granello di un ingranaggio. Penso che questo paradigma diventi euristico ma anche critico nei confronti della Chiesa stessa, non è detto che non si recepisca la logica strumentale che c’è qua e là nel mondo, anche per certi aspetti per fini missionari”.