(da New York) Con la selezione della giuria per il processo all’agente di polizia Derek Chauvin, accusato della morte dell’afroamericano George Floyd, la città di Minneapolis è tornata a respirare tensione e rabbia. La morte di Floyd, asfissiato dal ginocchio dell’agente, il 25 maggio 2020, ha provocato rivolte e violenze non solo nella città del Minnesota ma in tutti gli Stati Uniti, rinvigorendo il movimento Black lives matter nella richiesta di una giustizia equa e di una riforma della polizia.
L’arcivescovo di Saint Paul e Minneapolis, mons. Bernard A. Hebda, ricordando i disordini e le violenze, ha invitato i suoi concittadini “ad essere persone di pace, speranza e amore… Persone di giustizia, non di vendetta”. “Molti ora hanno paura di ciò che potrebbe accadere durante il processo e per le sue conseguenze, indipendentemente dal verdetto della giuria”, ha spiegato il vescovo, consapevole che le emozioni, la rabbia sono accentuate dai morti, dai contagi dalla tristezza della pandemia che ha afflitto ulteriormente la comunità e le famiglie. Con un gesto senza precedenti e per scongiurare ulteriori violenze, mons. Hebda si è riunito, domenica sera, con oltre 100 altri leader religiosi nella piazza Nord del centro di Minneapolis, proprio di fronte all’Hennepin County Government Center, la sede del tribunale dove si terrà il processo per stabilire se Floyd sia morto asfissiato sotto il ginocchio dell’ex agente e se Derek Chauvin sia colpevole di omicidio e i suoi altri tre ex colleghi vadano considerati complici. L’arcivescovo, parlando da un palco con dietro uno striscione che diceva “Pray for MN – Pregate per Minneapolis”, ha invocato Dio dicendo: “Oggi veniamo a Te come un popolo assetato di giustizia, ma anche affamato di pace. Veniamo a Te con cuori grati. Grati per i progetti che hai per le nostre città”. Mons. Hebda poi sul sito dell’arcidiocesi ha pubblicato, ieri, un video in cui ha invitato a continuare questa preghiera ogni giorno per “30 secondi o 30 minuti, impegniamoci a pregare per la pace nelle nostre comunità, per la pace per la famiglia Floyd e per la pace per i nostri fratelli e sorelle che lavorano per proteggerci” e, ha aggiunto, “per la fine del flagello del razzismo nel nostro Paese “. La scelta dei giurati si sta rivelando particolarmente complessa, perché supporrebbe la selezione di persone che mai abbiano sentito parlare del caso per garantire una reale imparzialità di giudizio. I giudici, vista l’impossibilità dei criteri suggeriti dalla legge, stanno vagliando i profili social delle persone idonee per comprendere la loro capacità di essere obiettivi. Il tribunale resta presidiato per timori di scontri.