Bosnia-Erzegovina: Maraone (Ipsia-Acli), nel campo di Lipa presto una tenda-refettorio

foto archivio IPSIA

I 900 migranti del campo di Lipa, in Bosnia ed Erzegovina, avranno presto un refettorio dove mangiare e proteggersi dalla nuova ondata di freddo gelido prevista nei Balcani, con sbalzi termici che arrivano fino a meno 10 gradi. Incaricata della realizzazione del progetto, insieme a Caritas italiana e Caritas ambrosiana, è Ipsia-Acli. La capo progetto, Silvia Maraone, lavora lì da un anno e fa la spola tra la vicina cittadina di Bihac e il campo di Lipa sulle montagne, ad una trentina di km di impervia sterrata. Il progetto Caritas-Ipsia va avanti grazie ai fondi raccolti per la rotta balcanica, nell’ambito di una campagna rivolta alle comunità cattoliche. A Lipa sono stati appena conclusi i lavori di spianatura, è stata sparsa la ghiaia sul terreno. “Ora stiamo montando le tensostrutture per il refettorio, che potrà accogliere almeno 600 persone – dice Maraone al Sir -. Poi installeremo una tenda di servizio, una per l’isolamento della scabbia e una tenda-moschea. Speriamo di riuscire entro il fine settimana”. I pasti saranno portati e distribuiti dalla Croce rossa di Bihac, che già se ne occupa due volte al giorno. Per ora solo pane e scatolette. I sei operatori umanitari e le quattro volontarie di Ipsia-Acli sono impegnati in Bosnia da anni con vari “social cafè” ossia luoghi di animazione e socializzazione nei campi per famiglie e bambini, gli altri 6.000 che stanno percorrendo ora la rotta balcanica. In questi centri, tra un caffè o un thè caldo, si fanno attività con i bambini, si gioca a carte, si organizzano tornei e corsi di lingua, si pratica un po’ di sport. Quello di Usivak a Sarajevo, ad esempio, è stato realizzato con 50.000 euro donati dall’Elemosineria apostolica, per volontà di Papa Francesco. Appena ultimata la costruzione del refettorio si vorrebbe aprire anche a Lipa un “social cafè” con attività psico-sociali e una outdoor gym. Afgani, siriani, pakistani, bengalesi, iraniani trascorrono le giornate senza fare nulla, ammassati in tende di 30 persone su letti a castello, avvolti nelle coperte per ripararsi dal freddo, grazie ad una sorta di “effetto stalla”. Coperte che poi dovranno essere bruciate per non diffondere ancora di più la scabbia. “Trascorrono le giornate lì, aspettando che il brutto tempo passi, prima di provare di nuovo il ‘game’ in primavera. Alcuni sono stati respinti anche 20 o 23 volte”. “La cosa più brutta – afferma Maraone – è dover assistere alle violenze subite dai ragazzi alla frontiera. Vediamo minori con le braccia rotte, con frustrate sulla schiena”. Al contrario, i momenti più belli “sono quando riceviamo notizie da quelli che sono riusciti ad arrivare alla loro mèta, in Francia o Germania. È importante per noi sapere che non sono vite sprecate, che hanno recuperato la loro dignità”.

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