“Tutti vogliono che Haiti diventi uno Stato di diritto”. È questo il commento – improntato alla speranza, ma anche al realismo di fronte a una situazione sociale ed economica catastrofica – con il quale la Conferenza episcopale haitiana (Ceh) reagisce alla decisione del contestatissimo presidente Jovanel Moise di fare del 2021 un anno elettorale a tutti i livelli.
Entro la fine dell’anno, i cittadini saranno chiamati ai seggi in tre occasioni: il 25 aprile è infatti convocato un referendum costituzionale che aprirà la strada alle successive elezioni presidenziali e legislative di settembre. In novembre, poi, in occasione del probabile secondo turno, si terranno anche le elezioni amministrative. Una risposta quasi obbligata di fronte allo stallo del Paese e alla paralisi del Parlamento, inattivo da mesi.
I vescovi, tuttavia, non si fanno illusioni sulla facilità di tale processo, descrivendo con realismo la situazione di Haiti: “Il Paese è sull’orlo dell’esplosione; la vita quotidiana delle persone è costellata da morte, omicidi, impunità, insicurezza. Il malcontento è ovunque, in quasi tutti gli ambiti”. E molti sono gli elementi di pesante incognita, come le modalità di composizione del nuovo Consiglio elettorale o la Costituzione che verrà scritta. “Dovremo accettare tutto questo?”, si chiedono i vescovi, che non rinunciano però a un auspicio: “Al centro di questa crisi socio-politica ed economica ricorrente, alimentata dal veleno di odio e sfiducia, è preferibile cercare e trovare consenso su qualsiasi questione spinosa; e questo dev’essere costruito attraverso il dialogo sociale e istituzionale per evitare il disastro”. Ed è in quest’ottica costrittiva e al di sopra delle parti, fa presente la Ceh, che dev’essere letto questo contributo della Chiesa haitiana.