È diventato drammatico e senza precedenti nel Paese il bilancio delle rivolte esplose simultaneamente in diverse carceri ecuadoriane (in particolare a Cuenca, Guayaquil e Latacunga) a partire dalla giornata di lunedì. Il bilancio, ancora provvisorio, è di 79 morti, con esecuzioni di estrema crudeltà, uso di motoseghe per attaccare altri detenuti, decapitazioni. Il bilancio più grave è stato registrato nel carcere di Cuenca, nel sud-est del Paese, con 38 vittime.
Sulla vicenda è intervenuta ieri la Conferenza episcopale ecuadoriana, attraverso una nota del Consiglio di presidenza, che si dice “preoccupato e costernato di fronte alla situazione dolorosa e critica nella quale vivono le persone private di liberta nelle diverse strutture di riabilitazione sociale”. Gli avvenimenti di questi giorni “altro non sono che il riflesso della crisi penitenziaria, della decomposizione sociale e dell’indifferenza collettiva di fronte a questa dura realtà”.
Proseguono i vescovi, che citano alcune parole di Papa Francesco sulla necessità di “umanizzare” le carceri: “Chiediamo a coloro che hanno incarichi di responsabilità nel Sistema di riabilitazione sociale (così viene chiamato in Ecuador il sistema penitenziario, ndr) di realizzare un’autentica valutazione sul sistema carcerario e sviluppare programmi pienamente umani, che realizzino le finalità indicate dalla nostra Costituzione”. La Conferenza episcopale, oltre a manifestare la propria preghiera e vicinanza alle famiglie di coloro che hanno perso la vita, “manifesta la propria disponibilità ad aiutare le autorità nel sostegno a coloro che soffrono la perdita dei propri cari”.
Nel frattempo si sta indagando per cercare di capire la causa scatenante di quanto accaduto. Una delle ipotesi più accreditate è quella di una guerra tra bande per il controllo del narcotraffico e in particolare di alleanze per mettere “fuori gioco” “los choneros”, il gruppo di narcotrafficanti più importante del Paese.