Siamo pronti ad affrontare la problematica facendo cultura e conoscenza”. Così si è espresso Pietro Ubbriaco, docente di Chimica dell’ambiente e dei beni culturali al Politecnico di Bari, a proposito dell’individuazione del sito di deposito delle scorie radiattive in Puglia nell’incontro di ieri sera promosso dalla diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva. Per il docente è necessario sull’argomento aumentare la conoscenza e sensibilizzare l’opinione pubblica nonostante il periodo della pandemia renda il confronto più difficile. “Secondo me – ha detto – l’area della Murgia e Bradanica non è idonea a supportare un impianto di questo tipo per diversi motivi: per le risorse idriche, agroforestali, per i beni culturali e paesaggistici. Per le risorse idriche, va correlato questo bene ai cambiamenti climatici. I criteri usati da Sogin potevano andare bene fino a qualche decennio fa ma oggi dobbiamo fare i conti con il cambiamento climatico. Rischiamo di contaminare le uniche riserve idriche che abbiamo. La collina di Fesa Grande è a cavallo fra la Puglia e la Basilicata che si trova su faglie. È un territorio molto permeabile. Fare un deposito qui genera un rischio gigantesco. Se parliamo di solidarietà, il territorio ha già dato un contributo perché Fesa Grande ospitava un campo missilistico della Nato. Per quanto riguarda la contaminazione non dobbiamo considerare solo il rilascio del materiale ma pensiamo anche alla sostenibilità dell’opera: arriveranno camion ed elicotteri, ci sarà un impatto invasivo con le polveri che si sollevano in un territorio fragile”. L’area individuata è di pregio anche dal punto di vista dei beni culturali secondo il docente. “I romani la scelsero per i traffici commerciali, tramite la Via Appia, la Via Latina e successivamente, in era cristiana, la zona fu attraversata dai pellegrini”. La soluzione per il professore sarebbe quella di lasciare le scorie nelle ex centrali e per i rifiuti ospedalieri ricercare accordi fra le regioni.