Non sono bastati cinque giorni per stabilire con certezza chi sarà lo sfidante di Andrés Arauz al ballottaggio per le elezioni presidenziali dell’Ecuador, il prossimo 11 aprile. Certo, a spoglio quasi ultimato (mancano 16 sezioni, lo 0,04%, e 153 sezioni da ricontrollare, pari allo 0,38%) una tendenza si è delineata: dovrebbe essere il banchiere Guillermo Lasso, liberale di centrodestra, a contendere la presidenza ad Arauz, candidato della sinistra vicina all’ex presidente Rafael Correa, nettamente al primo posto con il 32,70%.
Lasso ha solo 32mila voti di vantaggio rispetto al leader indigeno Yaku Pérez, grande sorpresa del primo turno, in testa fino a mercoledì, quando è iniziato il controllo dei voti contestati lungo la costa, a Guayaquil, e nella capitale Quito (unica località dove Lasso è al primo posto). Attualmente, quindi, Lasso è al 19,74%, Pérez al 19,39%. Quest’ultimo ha prevalso nettamente nelle province interne, a maggioranza indigena.
Ieri Pérez, dopo aver gridato alla possibile “frode” e incitato gli indigeni alla mobilitazione a inizio scrutinio, ha ammorbidito i toni, invitando Lasso ad aderire a un attento riconteggio, voto per voto, sotto lo sguardo di osservatori internazionali e rappresentanti di entrambi i candidati, promettendo di accettare in tal caso il risultato che emergerà. “Un po’ di preoccupazione c’è – dichiara al Sir da Cuenca, il feudo di Yaku Pérez, Damiano Scotton, padovano, docente di Relazioni internazionali all’Università dell’Azuay -. Gli inviti alla mobilitazione dei giorni scorsi potrebbero dar vita a proteste da parte degli indigeni. Inoltre, la possibile tensione tra Lasso e Pérez rende più problematica un’alleanza al secondo turno tra i due, entrambi ferocemente contrari rispetto al ‘correismo’. In linea di massima, al ballottaggio Pérez avrebbe maggiori possibilità di rimontare lo svantaggio su Arauz rispetto a Lasso”.
In questa situazione d’impasse, la Conferenza episcopale ecuadoriana è intervenuta ieri con una nota, nella quale si chiede al Consiglio nazionale elettorale di “rendere noti nel minor tempo possibile i risultati definitivi”, mentre alla cittadinanza e ai leader politici viene rivolto un appello ad “accettare, con serenità e coraggio, i risultati ufficiali, ricordando che gli interessi comuni vengono prima di quelli personali o di partito”.
Inoltre, i vescovi invitano a “deporre l’intransigenza ideologica e la violenza tra fratelli di diverse culture, etnie e nazionalità”, a “dialogare per costruire un Paese di pace” e a “lavorare per la riconciliazione e l’unità nazionale”.