“Il mio pensiero, oggi e in questi giorni, va in modo particolare a quanti stanno soffrendo o hanno sofferto a causa del virus, a quanti, nel corso di questa pandemia, hanno perso qualcuno e hanno il cuore ferito pensando alle carezze non date, agli abbracci perduti. Penso a quanti, nei letti di ospedale o tra le mura della propria camera, combattono in solitudine, contro questo male e contro tutti gli altri mali. Penso alla sofferenza di tanti bambini. Al grido del dolore innocente. Penso a quanti portano nel cuore i segni dell’afflizione, della stanchezza, della desolazione… sono lì, accanto a ciascuno di voi, nel silenzio del mio deserto”. Lo scrive l’arcivescovo di Napoli, mons. Mimmo Battaglia, nella lettera scritta per la Giornata del malato. Ed “è in quel silenzio condiviso, in quel deserto, mio e vostro, nostro, che possiamo imparare a scorgere il segno di una Presenza, la speranza di una certezza: il Signore non ci abbandona mai e vive con noi dentro ogni condizione umana”.
“Penso a tutti quelli che stanno soffrendo, nel corpo ma anche nello spirito. Anche in questo tuo momento, così difficile, così triste, così spaventosamente umano, si nasconde un’opportunità”, ma “lo è solo se restiamo fedeli e aperti, se rimaniamo, nonostante la durezza della prova, umanità che spera, sapendo che sorgerà prima o poi in noi la luce di una risposta alla nostra oscurità”. Il presule osserva: “Ad una certa profondità di sofferenza e di angoscia, si è necessariamente soli. Di fronte alla sofferenza esiste una soglia che non può essere valicata neppure dall’amico più intimo, neppure dal tuo vescovo. Nessuno, per quanto animato dalle migliori intenzioni, riesce a spingersi fin là. Né lo deve fare. Puoi partecipare, ma non puoi entrare. Nessuno riesce a capire (accogliere) totalmente il dolore di un altro. Puoi stare accanto… ma devi toglierti i sandali… perché anche quel luogo è terra santa. E il Signore è presente, non abbandona mai”, “si immerge nei fondali della nostra tristezza e della nostra paura, per risalire con noi, in quella inenarrabile spinta che ci aiuta a non arrenderci” mai.
Un ringraziamento, poi, “a quanti, medici, infermieri, operatori sanitari, sacerdoti, religiosi, religiose e volontari, si prendono cura delle tante ferite, visibili e invisibili, spesso in condizioni estreme”. E conclude: “Il dolore, la sofferenza ci fanno scoprire fragili, vulnerabili. Fatti di sogni e di desideri che in un attimo si infrangono. Eppure, anche se fragili e vulnerabili, non siamo perduti. Anche se nella preghiera, possiamo avvertire la fatica del buio, l’oscurità della notte, conserviamo nel cuore la certezza di non essere mai lasciati soli. Da qui, riparte la speranza, la nostra speranza. Perché essa, non è mai un’illusione. È racchiusa in un noi, da riscoprire e accogliere. È racchiusa nell’altro, da benedire e custodire. La vita ha valore, dignità, senso… sempre!”.