“Spero che i cospicui finanziamenti che ci arriveranno dall’Europa nei prossimi mesi vengano destinati anche ad un ritorno della sanità territoriale, soprattutto nelle zone rurali, in modo da ristabilire un equilibrio nella disponibilità delle risorse in nome del principio di equità sancito dalla Costituzione”. Lo dice in un’intervista al Sir don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, in occasione dell’odierna Giornata mondiale del malato. “Nei primi sei mesi di pandemia – spiega – il sistema sanitario si è trovato impreparato. Abbiamo fatto molta fatica a gestire l’emergenza legata a questa forma virale sconosciuta. Nella seconda parte del nostro vissuto pandemico abbiamo tentato di riorganizzarci. In Italia abbiamo un buon servizio sanitario nazionale che tenta di garantire le cure a tutti ma deve essere migliorato, anzitutto potenziandone la dimensione territoriale. Concentrare assistenza e cura in pochi ospedali superspecializzati non è l’unica soluzione, e la Lombardia lo ha dimostrato”.
Per il direttore dell’Ufficio Cei il Covid-19 ci ha fatto comprendere che la salute non è “un bene individuale” come ritenevamo prima della pandemia; “ora abbiamo toccato con mano che all’interno della comunità umana c’è una profonda interdipendenza. Rischiamo di perderci tutti se non agiamo insieme”.
E con riferimento all’esortazione del Pontefice, l’8 febbraio nel suo discorso al Corpo diplomatico, a tutti gli Stati a contribuire alle iniziative volte ad assicurare una distribuzione equa dei vaccini, Angelelli afferma: “Le aziende produttrici devono creare le condizioni affinché tutti possano accedervi. Vorrei poter immaginare una grande gara di solidarietà tra le nazioni perché quelle che hanno maggiori possibilità economiche possano sostenere le più fragili”.