“Egli è stato – e si è sentito – fondamentalmente un sindacalista, cioè il rappresentante di quei lavoratori, spesso vittime predestinate di un sistema economico che affama e poi addirittura colpevolizza”. “La sensibilità” di Franco Marini nelle parole di mons. Domenico Pompili, vescovo di Rieti, che, oggi a Roma, ha celebrato i funerali dell’uomo politico, già segretario della Cisl, ministro e presidente del Senato. Commentando il passo evangelico della guarigione della figlia di una donna siro-fenicia, mons. Pompili ha ricordato che anche per “Franco siamo tutti figli e il pane è per tutti, fossero pure le briciole. Tale certezza a Franco nasceva da dentro. Non solo dalla sua esperienza di casa, ma anche dalla sua fede cristiana. È da lì che ha maturato quel popolarismo politico che l’ha reso protagonista in una delicata fase di passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica e che è esattamente il contrario di quel populismo che – nella cosiddetta Terza Repubblica – vorrebbe rieditare anacronistiche battaglie identitarie”. Dalla vita di Franco Marini, ha aggiunto il vescovo, “si ricava una importante lezione: non è solo il pubblico che determina il privato, ma anche il privato influisce e determina il pubblico. Abbiamo troppo ideologizzato questa distinzione, fino al punto di creare una inseparabile separazione tra due dimensioni che sono distinte, ma non distanti. Quel che siamo in pubblico è anche l’effetto di quello che siamo in privato perché c’è una correlazione fin troppo evidente tra quello che anima il nostro vissuto quotidiano e quello che ispira la nostra attività pubblica”. Questo spiega, per il vescovo di Rieti, “quel carattere di franchezza, di immediatezza, di concretezza che ha fatto del senatore Marini una figura politica sui generis. Arrivando a sfiorare il primo scranno della Repubblica, senza però mai perdere il contatto con l’ultimo della società”. “Franco – ha concluso mons. Pompili – ci ha lasciati nella tormentata stagione del Covid. L’augurio è che la sua testimonianza di uomo e di credente possa orientare i difficili passi che attendono la nostra comune responsabilità verso i nostri figlioletti, la prossima generazione europea”.