“I flussi di mobilità sanitaria interregionale sono mutati sensibilmente negli ultimi due decenni, sia in termini quantitativi, con una riduzione considerevole in termini assoluti degli episodi di spostamento, sia in termini qualitativi, con una tendenza ad una crescente concentrazione dei pazienti in mobilità in alcune regioni”. Lo spiega il primo rapporto sull’emigrazione sanitaria in Italia, “Viaggi con la speranza. Storie di famiglie colpite dalla malattia di un figlio”, condotta da Iref-Acli con la collaborazione del Forum delle associazioni familiari e della Società Mutua Mba. La ricerca è stata presentata oggi in streaming, in occasione della Giornata mondiale del malato.
In termini di volumi, “nel 2000 si contavano 825.874 dimissioni ospedaliere di pazienti non residenti nella regione d’erogazione della prestazione; al 2018 sono invece 726.067 i casi, con un picco nel 2006 (889.552 unità) a cui è seguita una costante diminuzione fino all’ultimo anno per cui sono disponibili i dati, il 2018; si parla quindi di circa dodici punti percentuali in meno rispetto al primo anno di riferimento”. Complessivamente, dunque, “gli spostamenti per motivi di salute in Italia sono diminuiti negli ultimi due decenni nonostante la crescita demografica di quasi tre milioni di persone (da 57,7 mln a 60,6 mln)”
Per la mobilità passiva, con la quale si identifica la fuga di pazienti dalla propria regione, le principali regioni in termini di contributo al valore nazionale sono state la Campania, in cui il flusso in uscita è rimasto invariato rispetto ai primi anni 2000, in media intorno all’11% sul totale. La mobilità passiva è sistematica ed è rimasta invariata negli anni nelle regioni del Sud. Oltre alla Campania, la Puglia rappresenta quasi l’8% della mobilità interregionale totale, un valore che negli anni non ha subito variazioni che potessero indicare un cambio di tendenza. Similmente si può dire della Calabria – intorno al 7%. Fa eccezione la Sicilia, che negli anni ha visto ridursi la propria quota (dall’8,7% al 6,3%)”.
La mobilità attiva – quindi la quota di pazienti in mobilità ricevuti – “è aumentata di circa due punti percentuali al Nord, in particolare tra il 2013 e il 2018, periodo in cui il valore è passato dal 56,6% al 59,2%”. Al Meridione “sussistono condizioni strutturali che impediscono l’assorbimento della domanda sanitaria interregionale nelle regioni limitrofe”. Fatta eccezione per le Isole (Sardegna e Sicilia), “in Puglia e Calabria la mobilità sanitaria di confine riguarda meno del 20% dei flussi in uscita da queste regioni; anche in Campania, seppur di poco (50,5% a fronte del 49,5% della mobilità di confine), la maggior parte delle migrazioni sanitarie si dirige verso regioni non confinanti”.