Un appello per chiedere un intervento al Consiglio di sicurezza dell’Onu, perché “imponga sanzioni economiche e politiche più dure possibili” nei confronti dell’esercito birmano, per “l’adozione di tutte le misure utili a ripristinare lo Stato di diritto, l’immediata liberazione di tutte le personalità arrestate, a partire dalla Leader birmana Aung San Suu Kyi e il Presidente U Win Mynt”. È molto preoccupata Cecilia Brighi, profonda conoscitrice del Paese asiatico e presidente dell’associazione “Italia-Birmania insieme”, appena appresa la notizia del colpo di stato di questa mattina in Myanmar. Da ieri notte è in costante contatto con i suoi referenti istituzionali in Myanmar, visti i segnali dell’aggravarsi delle crisi post elettorale (dopo la vittoria schiacciante della Lega nazionale per la democrazia l’8 novembre scorso) ma non si aspettavano precipitasse fino all’arresto di Aung San Suu Kyi, leader della Lega nazionale per la democrazia (Nld), del presidente Win Myint e di altri leader. Tutti i poteri sono stati trasferiti al generale Min Aung Hlaing, capo delle forze armate, ed in Myanmar è stato proclamato lo stato di emergenza. Aung San Suu Kyi ha chiesto alla popolazione di reagire. Al momento non si riescono ad avere notizie dirette perché le linee di comunicazione sono interrotte. “Sono stata al telefono da mezzanotte alle 4 di mattina – racconta Brighi al Sir –. È un disastro, siamo tutti allibiti. C’erano delle avvisaglie, perché l’esercito aveva già minacciato un colpo di stato dopo le elezioni, dicendo che 8 milioni di schede erano fasulle e chiedendo il riconteggio, sull’onda di quanto successo negli Stati Uniti con Trump”. L’esercito, che ha sempre tenuto in scacco il Paese perché da Costituzione il 25% dei seggi parlamentari è riservato ai militari, teme infatti un referendum popolare che metta in discussione la Costituzione. Ora bisogna vedere le reazioni a livello internazionale.
L’associazione “Italia-Birmania insieme” sta lavorando in queste ore ad un appello per raccogliere firme sulla piattaforma “Change” e chiedere al governo italiano, alla Ue e al Consiglio di sicurezza dell’Onu dure sanzioni contro i militari, che sono anche proprietari di ricche imprese. Ma gli equilibri geopolitici sono complessi e delicati. “Ora bisogna vedere cosa farà la Cina – osserva Brighi – che ha fortissimi interessi nel Rakhine (uno Stato interno al Myanmar dove vivono le minoranze perseguitate, come i musulmani Rohingya, ndr) e in Myanmar fa il triplo gioco: finanzia le organizzazioni etniche, fa il mediatore di pace con i Rohingya ma al tempo stesso ha enormi interessi economici. La Cina potrebbe opporsi a eventuale sanzioni”. Brighi, sa che i sindacati locali si stanno sta organizzando per affrontare questa nuova situazione “ma non so cosa riusciranno a fare, anche per i rischi dovuti alla pandemia in corso”. “Sicuramente ci saranno manifestazioni – dice – perché questa volta la gente non ha nessuna intenzione di tornare indietro: nonostante tutti i limiti di questa democrazia parziale, sotto la spada di Damocle dei militari, con le limitazioni della libertà di stampa, gli arresti, si stava lavorando con civiltà”. Per le minoranze etniche e religiose cristiane e musulmane, già perseguitate (nello Stato Karen ci sono 4.000 sfollati in mezzo alla giungla, in Rakhine ancora peggio), si prospetta un duro periodo. Il card. Charles Bo, arcivescovo di Yangon, finora non ha mai avuto timore di esporsi nonostante i rischi.