Diocesi: Genova, mons. Tasca “Lasciamoci alle spalle la città dei ‘sì, però’. Scegliamo invece il ‘sì, quindi’, per darci orizzonti comuni di una Genova più felice, vivibile perché più fraterna”

Un affresco della città di Genova dipinto con lo sguardo “dal basso”: a tratteggiarlo è stato oggi l’arcivescovo di Genova, mons. Marco Tasca nel suo discorso di fine anno pronunciato in occasione del tradizionale canto del Te Deum. Lo sguardo è quello, ha detto, è quello dei “senza tetto che dormono nelle stazioni e sotto i portici. Chi affonda nel tunnel delle dipendenze e dell’azzardo. Chi si trova in carcere e non ha le opportunità per reinserirsi. Chi viene trattato e maltrattato da straniero, penso in particolare allo snellimento delle procedure. Chi affronta una disabilità, ogni giorno. Chi ha problemi di salute mentale. I tanti giovani incerti, sfiduciati, precari nonostante lo studio e il duro lavoro. I giovani che vanno via a malincuore. Gli anziani vittime di solitudine e di un abitare individualista che ha reso più difficile fare comunità. Le famiglie spezzate, la sofferenza dei separati e dei loro figli. Le famiglie che guardano il mondo da edifici degradati e inquinati. Le donne che subiscono violenze e discriminazioni. Chi non trova lavoro. Chi trova solo lavoro non dignitoso o non etico. Chi muore di lavoro. Chi perde o non trova casa. Il problema abitativo si conferma in assoluto il più grave, tanto da rappresentare una vera e propria emergenza. La spesa per l’affitto, l’amministrazione e le utenze arriva ad assorbire, in molti casi, la totalità delle entrate del nucleo familiare”. Nei panni di costoro, ha aggiunto, “siamo chiamati a metterci”. Lo sguardo del presule si allargato poi a “tutte le persone che insegnano nella scuola con passione. Le famiglie che ‘tirano avanti’ nella quotidianità, bisognose dell’appoggio della comunità cristiana e di politiche famigliari adeguate anche in ordine alla natalità. Chi opera nei contesti sociali dando il proprio meglio nonostante scarsi mezzi. Chi lavora in porto o in fabbrica facendo battaglie per i diritti, la sostenibilità, il disarmo. Chi lavora nell’assistenza sanitaria. I giovani che studiano e creano cultura, spazi sociali, movida sana, esperienze di partecipazione. Chi tiene vive le piccole realtà di quartiere o di paese, centri, botteghe, imprese famigliari, locali di ritrovo e di sport, associazioni, assistenze, orti e parchi. Chi esprime talenti artistici e promuove eventi che veicolano valori umani importanti, ridando vita e stimoli alle piazze, con scarsi mezzi. Chi si spende nel volontariato e nella battaglia per una ecologia integrale. Le comunità immigrate che arricchiscono la nostra società con altre culture, energie, sensibilità”. Lo sguardo di mons. Tasca è anche quello “preferenziale del cristiano e di una chiesa che sta affrontando una grande sfida, locale e globale: quella della sinodalità. Il Sinodo che abbiamo avviato vuole metterci in ascolto – e dovremo inventarne i modi – di tutte queste voci, delle realtà più fragili, complesse e lontane che non fanno notizia, non luccicano in vetrina. Lì nasce oggi Gesù, da lì viene la Buona Notizia di un altro mondo possibile. E lì dobbiamo portarla. Come Pastore mi sento chiamato a dare voce, ma anche di conseguenza a denunciare le ingiustizie strutturali che fanno soffrire tante persone”. Da qui un invito a fare un esame di coscienza: “dirci le responsabilità che non ci stiamo prendendo: le troppe case e spazi che teniamo vuoti a fronte di un grande bisogno e di affitti troppo cari specie per i giovani; l’accumulo e la difesa di patrimoni – laddove ci sono – invece che l’investimento a beneficio della collettività, di progetti sociali e di lavoro giovanile… E intanto la ‘Mensa di città’ prepara 500 pasti al giorno per i poveri!”. “Il Vangelo chiama i cristiani – ma qualunque persona di buona volontà – a liberare una speranza coinvolgente ed incoraggiante” ha aggiunto mons. Tasca. “Vediamo dove lo Spirito ci porta, se camminiamo insieme. Non abbiamo la presunzione o la tentazione di avere già tutto chiaro da subito, o di alzare le braccia. La più grande minaccia di questa città – ha sottolineato – non è solo diventare vecchia anagraficamente, ma permearsi di una mentalità dove il rinnovamento è difficile, qualunque sia l’età e la provenienza; dove si chiede autonomia senza responsabilità; dove ci si lascia pervadere dal soggettivismo e dall’individualismo”. “La spiritualità cristiana – ha concluso – è una via di liberazione, una sorgente di coraggio, una capacità di ascolto e cambiamento delle strutture, perché è conversione nel profondo, è voglia di popolo e non di oligarchie, voglia di fraternità e non di masse di anonimi consumatori. La più grande forza di questa città è avere tanta bellezza e umanità a portata di mano. Lasciamoci alle spalle la città dei ‘sì, però’. Scegliamo invece il ‘sì, quindi’,per darci orizzonti comuni di una Genova più felice, vivibile perché più fraterna”.

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