“Parroci uccisi nelle loro comunità, in Africa e in America, torturati, sequestrati da criminali alla ricerca di tesori inesistenti o attirati dal miraggio di facili riscatti o ancora per mettere a tacere voci scomode, che esortavano a non sottomettersi passivamente al regime del crimine; sacerdoti impegnati nelle opere sociali, come ad Haiti, uccisi per rapinarli di quanto serviva per gestire tali attività, o ancora uccisi da chi stavano aiutando, come in Francia, o in Venezuela, dove un religioso è stato ucciso dai ladri nella stessa scuola dove insegnava ai giovani a costruirsi un futuro”: nel dossier sui missionari uccisi nel corso del 2021, l’agenzia Fides rintraccia testimonianze di fede al servizio della popolazioni in mezzo alle quali i “discepoli missionari” stavano operando quando sono stati compiti da violenza cieca. Il dossier elenca, ancora, le “religiose braccate e uccise a sangue freddo dai banditi in Sud Sudan” e “tanti laici, il cui numero cresce: catechisti uccisi dagli scontri armati insieme alle comunità che animavano nel Sud Sudan; giovani uccisi dai cecchini mentre si adoperavano per portare aiuti agli sfollati che fuggivano dagli scontri tra esercito e guerriglieri in Myanmar; una missionaria laica brutalmente assassinata per rubare un cellulare in Perù”. L’elenco è lungo: vi si riscontra “un giovane saltato su una mina nella Repubblica Centrafricana mentre viaggiava sull’auto della missione; un catechista indigeno, attivista per il rispetto dei diritti umani in forma non violenta, ucciso in Messico”. Tutte “vite donate per amore, lottando ogni giorno, pacificamente, contro la prepotenza, la violenza, la guerra”.