“Pensare, parlare, agire come un noi, uscendo dall’individualismo e dalla pretesa di autosufficienza che fanno ammalare il cuore”. E’ questo, il Papa, “il segno eloquente della vita cristiana, il tratto distintivo dello spirito ecclesiale”, che comporta anche la capacità di “portare insieme le ferite”. Lo ha spiegato il papa, nell’omelia della Messa presieduta al GSP Stadium di Nicosia e gli altri come fratelli. “Il peccato distorce la realtà”, ha ricordato Francesco: “ci fa vedere Dio come padrone e gli altri come problemi. È l’opera del tentatore, che falsifica le cose e tende a mostrarcele sotto una luce negativa per gettarci nello sconforto e nell’amarezza. E la brutta tristezza, che è pericolosa e non viene da Dio, si annida bene nella solitudine”. E’ per questo che, per il Papa, “non si può affrontare il buio da soli”: “Se portiamo da soli le nostre cecità interiori, veniamo sopraffatti. Abbiamo bisogno di metterci l’uno accanto all’altro, di condividere le ferite, di affrontare insieme la strada”. “Dinanzi a ogni oscurità personale e alle sfide che abbiamo davanti nella Chiesa e nella società, siamo chiamati a rinnovare la fraternità”, l’appello di Francesco: “Se restiamo divisi tra di noi, se ciascuno pensa solo a sé o al suo gruppo, se non ci stringiamo insieme, non dialoghiamo, non camminiamo uniti, non possiamo guarire pienamente dalle cecità. La guarigione viene quando portiamo insieme le ferite, quando affrontiamo insieme i problemi, quando ci ascoltiamo e ci parliamo. È la grazia di vivere in comunità, di capire il valore di essere comunità. Lo chiedo per voi: possiate stare sempre insieme, essere sempre uniti; andare avanti così e con gioia: fratelli cristiani, figli dell’unico Padre. E lo chiedo anche per me”.