“Il mistero del Natale è il mistero di Dio che viene nel mondo attraverso la via dell’umiltà; e questo tempo sembra aver dimenticato l’umiltà, o pare l’abbia semplicemente relegata a una forma di moralismo, svuotandola della dirompente forza di cui è dotata”. Il tradizionale discorso alla Curia Romana per gli auguri natalizi comincia con una denuncia e approfondisce un tema: l’’umiltà. “Se dovessimo esprimere tutto il mistero del Natale in una parola, penso che la parola umiltà è quella che maggiormente ci può aiutare”, la tesi del Papa, che ha raccontato la storia di Naaman il Siro, valoroso generale che però nascondeva la lebbra sotto la sua armatura. “Insieme con la fama, la forza, la stima, gli onori, la gloria, quest’uomo è costretto a convivere con un dramma terribile: è lebbroso”, ha ricordato Francesco: “La sua armatura, quella stessa che gli procura fama, in realtà copre un’umanità fragile, ferita, malata”. “Questa contraddizione spesso la ritroviamo nelle nostre vite”, il commento del Papa: “a volte i grandi doni sono l’armatura per coprire grandi fragilità”. “Non si può passare la vita nascondendosi dietro un’armatura, un ruolo, un riconoscimento sociale”, il monito di Francesco: “Arriva il momento, nell’esistenza di ognuno, in cui si ha il desiderio di non vivere più dietro il rivestimento della gloria di questo mondo, ma nella pienezza di una vita sincera, senza più bisogno di armature e di maschere”. Naaman guarisce nel momento esatto in cui toglie la sua armatura e si cala nelle acque del Giordano: “La lezione è grande! L’umiltà di mettere a nudo la propria umanità, secondo la parola del Signore, ottiene a Naaman la guarigione”, ha fatto notare il Papa, secondo il quale “La storia di Naaman ci ricorda che il Natale è il tempo in cui ognuno di noi deve avere il coraggio di togliersi la propria armatura, di dismettere i panni del proprio ruolo, del riconoscimento sociale, del luccichio della gloria di questo mondo, e assumere la sua stessa umiltà”. Come ha fatto il Figlio di Dio, “che non si sottrae all’umiltà di ‘scendere’ nella storia facendosi uomo, facendosi bambino, fragile, avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia. Tolte le nostre vesti, le prerogative, i ruoli, i titoli, siamo tutti dei lebbrosi bisognosi di essere guariti. Il Natale è la memoria viva di questa consapevolezza”. “Non si può andare avanti nell’umiltà senza umiliazioni”, ha aggiunto a braccio Francesco.