“Fin da quando abbiamo cominciato a vedere gli amari segni premonitori di una guerra, abbiamo espresso in ogni modo attraverso dichiarazioni e preghiere, l’invito a tutti gli attori a considerare la via del dialogo piuttosto che quella delle armi. La guerra porta devastazione, distrugge vite, proprietà, costringe le persone a lasciare le proprie case, lascia una cicatrice nera sull’unità tra gli individui per secoli. Apre una profonda crisi sociale, morale, psicologica, economica: ed è esattamente quanto sta succedendo in Etiopia. Molti sono morti, molti sono sfollati, molti sono stati imprigionati. Molte nostre sorelle sono state stuprate, la nostra armonia sociale che durava da secoli, è stata messa a dura prova. Molte persone vivono nella paura e nell’incertezza. Tutto ciò ci addolora profondamente”. Comincia così il messaggio rilasciato a conclusione della 52ª Assemblea plenaria dei vescovi della Chiesa cattolica d’Etiopia, tenutasi presso il monastero dei Padri della Consolata di Mojo, tra il 13 e il 16 dicembre scorsi. La lettera, pervenuta all’Agenzia Fides, giunge al termine di un anno segnato dall’escalation militare che ha visto fronteggiarsi l’esercito regolare e i ribelli del Tplf (Fronte popolare di liberazione del Tigray). Dai primi di novembre 2020 ad oggi, dopo il referendum celebrato in Tigray senza l’autorizzazione di Addis Abeba, si sono susseguiti scontri, consumate stragi di civili, che hanno portato l’intero paese sull’orlo della guerra civile. “Il suono delle campane delle chiese – affermano i vescovi – dovrebbe essere il suono della speranza, dell’amore, della pace, della riconciliazione e della fraternità. Riponiamo una fede ferma in Dio e confidiamo che questa oscurità passerà. Il nostro Paese ha molto bisogno di preghiera in questo periodo. Crediamo che la preghiera sia uno strumento potente che fa la differenza, porta cambiamenti nel cuore e lo apre a Dio e ai nostri fratelli e sorelle. La preghiera ci aiuta a rimuovere il male dai nostri cuori, a evitare che i nostri cuori siano pieni di amarezza, a evitare che incitamento all’odio esca dalle nostre bocche e a vedere la realtà da una diversa prospettiva. Perciò preghiamo senza sosta per tutti i nostri leader che prendono decisioni sul nostro Paese, sul nostro popolo per i prigionieri, i morti, gli sfollati, i tristi, gli affamati, gli assetati, i preoccupati, i confusi, gli oppressi. È con questo fervore che noi abbiamo continuato a pregar e chiesto al nostro popolo di farlo ferventemente”. “La via della pace – ribadiscono i vescovi – guarisce e ristabilisce un tessuto di fraternità. Dobbiamo aiutarci gli uni gli altri a credere nella via paziente del dialogo. La Chiesa giocherà un ruolo cruciale nel favorire il dialogo nazionale”.