“Credo in una diplomazia della pace, dell’incontro, del dialogo, dell’aprire processi, come ci insegna Papa Francesco”. Lo aveva detto mons. Aldo Giordano, morto oggi a Lovanio dov’era ricoverato per il Covid-19, in un’intervista al Sir pubblicata l’8 maggio scorso quando era stata resa nota la sua nomina a nunzio presso l’Unione europea a Bruxelles. Dopo sette anni passati in Venezuela, come rappresentante della Santa Sede, aveva commentato il suo ritorno in Europa dove, precedentemente, aveva ricoperto ruoli di primo piano a San Gallo (Ccee) e Strasburgo (Consiglio d’Europa). In quell’occasione aveva espresso “la grande gioia di ritornare ‘a casa’ e di poter riprendere il servizio al grande e complicato processo dell’unione del continente, ma anche il timore di ritrovarmi in un’Europa cambiata, considerando i ritmi attuali della storia”. Ma aveva anche rivelato che “il popolo del Venezuela mi ha ‘rubato il cuore’, per il suo affetto, la sua passione per la vita, la musica, le danze, la religiosità, la vicinanza alla Chiesa e soprattutto per le sue sofferenze e le lacrime”. Poi, di nuovo sull’Europa si era detto “convinto che la realtà dell’identità e delle radici dell’Europa resti decisiva, insieme a quella della relazione dell’Europa con il resto del mondo. Solo un’Europa con radici solide può avere una posizione significativa nella geopolitica mondiale, la capacità di un rapporto sano con le religioni, la possibilità di confrontarsi con l’immane problema delle migrazioni”. “Il virus – aveva concluso – ci sta drammaticamente dicendo che siamo tutti sulla stessa barca: o ci salviamo insieme o insieme cadiamo nel baratro. Permangono i sogni propri della nascita dell’Unione europea: contribuire alla pace, alla fraternità della famiglia umana; a un’economia che non lascia morire di fame; al rispetto per l’ambiente e la natura”.