Gli italiani, poveri e non poveri, che devono sopportare il 42,2% della spesa farmaceutica, compiono un “investimento” o un “sacrificio” per tutelare la propria salute. Il peso della spesa sanitaria sul totale della spesa per consumi si attesta, per entrambi, su valori molto simili (2% vs. 1,6%) anche se con valori monetari molto distanti (60,96 euro vs. 10,25 euro). È quanto emerge dal 9° Rapporto “Donare per curare – Povertà sanitaria e donazione farmaci”, realizzato con il contributo incondizionato di Ibsa Farmaceutici da Opsan-Osservatorio sulla povertà sanitaria (organo di ricerca di Banco farmaceutico), presentato oggi in un incontro on line.
Le difficoltà riguardano tutti i residenti, poveri e non poveri: nel 2020 il 15,7% delle famiglie italiane (4 milioni 83mila famiglie, pari a 9 milioni 358mila persone) ha risparmiato sulle cure, limitando il numero delle visite e degli accertamenti o facendo ricorso a centri diagnostici e terapeutici più economici. Hanno fatto ricorso a una di queste strategie 33 famiglie povere su 100 e 14 famiglie non povere su 100.
“A causa della crisi economica derivante dalla pandemia, molte persone sono state spinte in una situazione di indigenza, e chi già era povero vive una condizione di ulteriore marginalità. Il nostro Rapporto rappresenta non tanto e non solo un’analisi sociologica e statistica della povertà, quanto uno strumento per consentire a Banco farmaceutico di poter fare meglio il proprio lavoro (raccogliere farmaci per gli indigenti) e per smuovere idee e coscienze, fornendo al dibattito alcuni suggerimenti in termini di politiche pubbliche”, spiega Sergio Daniotti, presidente della Fondazione Banco farmaceutico onlus. “Crediamo in particolare che, sia nell’ambito del Pnrr, sia in quello delle strategie sanitarie generali, occorra valorizzare adeguatamente il ruolo sussidiario del Terzo settore – prosegue Daniotti -. Crediamo sia sufficiente guardare a ciò che già esiste. A quello che accade, per esempio in alcune regioni, dove gli enti assistenziali hanno assunto una funzione di sistema non ignorabile dalle istituzioni pubbliche, le quali considerano tali enti partner delle politiche sanitarie, coinvolgendole talora nella co-progettazione del welfare locale a sostegno dei poveri”.