“Antonio Zucchini era convinto che il fulcro irradiante e luminoso della trasfigurazione della vita umana fosse il sacrificio del Signore Gesù, accolto, celebrato, vissuto. Tutto l’impegno culturale e politico del credente gravita nella comunione con il Cristo eucaristico, con Colui che si incarna, muore e risorge. È da tale comunione che scaturiscono novità di visione e di pensiero, nuove culture e nuovi umanesimi, capacità di discernimento”. Lo ha detto mons. Mario Toso, vescovo di Faenza-Modigliana, ricordando lo scorso 10 dicembre il sindaco Antonio Zucchini, a 50 anni dalla morte. Zucchini fu sindaco di Faenza dal 1920 al 1923, anno in cui subì la violenza fascista, ma non perse mai la propria coerenza. “Al pari dei cattolici che, alla fine dell’800 ed all’inizio del ‘900, si alimentarono dei contenuti e del sapere sapienziale della Rerum novarum, della dottrina sociale ispirata dal Vangelo – si pensi anche solo al popolarismo e al municipalismo sturziano -, anche il conte Antonio Zucchini colse nella matrice culturale del cristianesimo, il fondamento di una socialità e di una democrazia strutturate dai principi della libertà legata alla verità, della fraternità, dell’uguaglianza e della giustizia”. “Per Antonio Zucchini – ha aggiunto il vescovo – la politica è in grado di far progredire le persone allorché è animata dalla carità, virtù teologale. Come tale la politica non solo edifica la città terrena ma anche il Regno di Dio. È questa una linea di pensiero che accomuna Antonio Zucchini ai tanti cattolici che vivono una fede in profondità, dai tempi di Leone XIII fino alla recente enciclica Fratelli tutti di papa Francesco. Al lato pratico, la politica imperniata nella carità diventa impegno di redenzione per essa”. “In definitiva – ha concluso – Zucchini ha impersonato una figura di cattolico ‘integrale’ (non integrista), che intendeva vivere la fede in tutte le dimensioni della vita e che faceva gravitare l’impegno sociale e politico nell’unità di vita con Cristo e il suo Amore. Tale unità non consentiva separazione alcuna tra fede e politica, bensì armonia nella distinzione, il più possibile. In questo nostro tempo, invece, la fede religiosa non sembra più conformare, ossia non pare più riuscire a unificare i vari comportamenti dei credenti. Sicché essi tendono a vivere una netta separazione tra fede e impegno sociale-politico, tra ragione e politica. È indubbio che questo modo di pensare di non pochi cattolici pone per la Chiesa una questione teologica ed ecclesiologica non piccola. È indubitabile che ancora oggi, come mondo cattolico, abbiamo molto da imparare da coloro che ci hanno preceduto. I tempi sono mutati, ma non può cambiare l’amore che lega i credenti a Cristo, che è venuto per instaurare tutte le cose in Lui, compresa la politica. Questa, se vissuta con l’amore di Cristo, mantiene e fortifica la sua autonomia laicale”.