Un sacerdote appartenente a una delle comunità cattoliche presenti in Terra Santa può amministrare i sacramenti della Penitenza, dell’Eucaristia e dell’Unzione degli infermi anche a cristiani appartenenti a Chiese ortodosse e orientali non cattoliche, se costoro lo richiedono spontaneamente, di loro iniziativa, “e sono adeguatamente preparati”. È questa la disposizione più esemplare contenuta nel testo delle “Direttive pastorali ecumeniche” per le Chiese cattoliche, appena emanato in lingua araba, dall’Assemblea dei Vescovi ordinari cattolici di Terra Santa e pubblicato oggi sul sito del Patriarcato latino di Gerusalemme. Le direttive saranno in vigore a partire dalla prima domenica di Avvento, il 28 novembre prossimo. Il documento, rilanciato da Fides, fornisce orientamenti e anche disposizioni vincolanti in merito a questioni cruciali per la vita spirituale dei cristiani appartenenti alle tante comunità ecclesiali presenti nella regione. Le direttive si applicano a tutte le Chiese cattoliche in Terra Santa (Palestina, Israele, Giordania, Cipro), coinvolgono comunità cattoliche latine, maronite, melkite, caldee, sire, armene e copte, e riguardano in particolare la partecipazione alla vita sacramentale, questione cruciale e di grande interesse per la vita ordinaria e la testimonianza comune dei battezzati nelle terre in cui è nato, vissuto, morto e risorto Gesù Cristo. Nella prima parte delle direttive, si delinea in sintesi la particolare valenza assunta dalla “questione ecumenica” nel contesto della Terra Santa, dove da sempre convivono riti e tradizioni ecclesiali molteplici. Questa diversità, nel corso della storia, invece di essere riconosciuta e accolta come una ricchezza, è stata ridotta spesso a mero strumento di differenziazione identitaria nelle divisioni contrapposizioni dottrinali, giurisdizionali e di potere che hanno lacerato la comunione tra i cristiani. Il documento riconosce che ora la situazione è “completamente diversa”. Il cammino ecumenico promosso con forza dopo il Concilio Vaticano II, gesti come il pellegrinaggio di Papa Paolo VI in Terra Santa nel 1964 e anche le difficili condizioni politiche e sociali vissute in Terra Santa negli ultimi decenni, hanno contribuito ad avvicinare le Chiese, che hanno assunto insieme anche l’impegno recente dei restauri nella Basilica del Santo Sepolcro. I cristiani di Terra Santa, pur appartenendo a comunità diverse – sottolinea il documento – vivono “fianco a fianco”, e riconoscono la comune vocazione a confessare insieme la fede in Cristo nell’attuale contesto della Terra Santa, segnato da conflitti, sofferenze e opposti integralismi. I matrimoni misti, tra coniugi cristiani appartenenti a confessioni diverse, sono ormai un tratto costante della vita familiare di tutti i battezzati dell’area, i quali “a volte arrivano persino a dire che loro sono in piena comunione, e che la divisione è solo una questione che riguarda il clero”. La convivenza quotidiana porta i battezzati a non dare troppo peso ai confini confessionali tra una comunità ecclesiale e l’altra, anche per quanto riguarda la vita liturgica e la pratica sacramentale. I battezzati “si identificano spontaneamente come cristiani, mentre i sacerdoti tendono a definirsi secondo standard confessionali”. Questo processo spontaneo si è confrontato negli ultimi anni e “in alcuni luoghi”, con una certa “tendenza a riaffermare l’identità settaria”, segnata a volte anche da un atteggiamento di chiusura e di ostilità verso altre comunità cristiane. Le disposizioni dei Vescovi cattolici di Terra Santa richiamano esplicitamente come proprie fonti di ispirazione gli enunciati essenziali della dottrina cattolica in materia ecumenica, facendo riferimento ai documenti del Concilio Vaticano II e al Piano pastorale emanato dal Sinodo diocesano delle Chiese cattoliche in Terra Santa nel 2000. Tutti i battezzati cattolici vengono richiamati a rispettare “fedelmente” le disposizioni concrete che emanano da quei testi magisteriali. Riguardo alla vita sacramentale e liturgica, si ribadisce che occorre tenere presenti i diversi gradi della “comunione imperfetta” condivisa dai cattolici con i cristiani di altre Chiese e comunità ecclesiali, e per questo vanno sempre distinti i rapporti che si possono avere con le Chiese ortodosse e orientali da quelli che possono essere sperimentati con le Chiese e i gruppi scaturiti in vario modo dalla Riforma. Nella terza sezione si definiscono in maniera dettagliata criteri e direttive che devono orientare i cattolici – clero e laici – nella condivisione della vita sacramentale con battezzati di altre confessioni cristiane. A seguire, il documento fornisce le linee guida relative alla condivisione della vita sacramentale con i figli delle Chiese orientali o delle Chiese ortodosse orientali. Si ribadisce in maniera esplicita che i sacerdoti cattolici sono autorizzati a concedere i sacramenti della penitenza, dell’Eucaristia e dell’unzione degli infermi ai fedeli delle Chiese orientali, se questi lo richiedono e sono adeguatamente preparati. Nel contempo, si chiarisce che ai cristiani ortodossi e delle antiche Chiese d’Oriente non cattoliche è richiesto di rispettare la disciplina e le consuetudini con cui i sacramenti vengono amministrati nella Chiesa cattolica. Viene chiarito che un battezzato appartenente alle Chiese ortodosse e orientali non cattoliche può svolgere il ruolo di padrino o madrina, insieme a un padrino o a una madrina cattolici, nel battesimo di un cattolico. Allo stesso modo, un cristiano appartenente a una Chiesa orientale può essere testimone di un matrimonio in una Chiesa cattolica. In continuità con gli orientamenti già definiti dalla disciplina della Chiesa cattolica, si ripete anche che, in situazioni di pericolo di morte, “i sacerdoti cattolici possono amministrare i sacramenti della penitenza, dell’Eucaristia e dell’unzione degli infermi a membri di altre Chiese o gruppi ecclesiali”, quando costoro non possano ricorrere a sacerdoti o ministri del culto appartenenti alla propria comunità ecclesiale, a patto che chi chiede tali sacramenti lo faccia di propria iniziativa e in piena libertà, esprimendo la propria fede nel sacramento che riceve.