“L’urbanizzazione crescente ha spopolato i piccoli borghi e i paesi di montagna. La vita di città dipende dalle risorse che arrivano dai territori più periferici e se questi non vengono presidiati, i danni si ripercuotono su tutti”. A ricordarlo è stato mons. Domenico Pompili, vescovo di Rieti, nel suo intervento, lo scorso fine settimana, al Corso di formazione all’impegno politico e sociale organizzato a Monterotondo dall’Ufficio della Pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Sabina-Poggio Mirteto. All’incontro ha partecipato come relatore anche Francesco Petracchini, ricercatore del Cnr per gli ambiti della Qualità dell’aria, della mobilità sostenibile e delle fonti rinnovabili. “È giusto investire in infrastrutture digitali – ha spiegato il vescovo – ma gli investimenti devono essere indirizzati tanto alla città quanto alla montagna. Non bisogna però investire sulla montagna in senso nostalgico, con un mordi e fuggi che sembra solo voler ricostruire dei presepi. Serve un nuovo patto sociale, quasi un contratto tra i centri urbani e le parti più interne del territorio e questo patto deve avere una natura paritetica. Bisogna ricostruire dei nuclei sul territorio capaci di svilupparsi nel tempo. Per esempio, l’acqua di Roma viene da sotto il Monte Velino, e se non si ricostruiscono le zone colpite dal terremoto, i danni si ripercuoteranno anche sulla capitale”. Mons. Pompili ha riletto l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, che, ha rimarcato, “non è un manifesto verde né una riflessione ambientalista, bensì una vera e proprio proposta di rivoluzione culturale sulla questione ambientale, poiché mette in luce “un inedito rapporto tra scienza e fede, che sono chiamate a sostenersi a vicenda” e “la relazione strutturale che esiste tra dato ecologico e la nostra economia. Basta guardare il fenomeno dei migranti climatici, che è in continuo aumento. È chiara l’indicazione che l’emergenza climatica si potrà risolvere non solo con il contributo delle istituzioni, ma anche con i movimenti che nascono dal basso. Le cose possono cambiare solo se da parte della base si avrà la consapevolezza che non succede tutto sopra le nostre teste, ma ciascuno di noi può fare la differenza. I cittadini devono fare uno scatto per trasformarsi da energy consumers a energy producers, secondo quel termine oggi in voga di ‘prosumers’”. “Nessuno se la cava da solo – è stata la conclusione –, lo abbiamo imparato ancora di più durante la pandemia. Tutto è interconnesso, le interdipendenze costituiscono il modo di agire a tutti i livelli, ma così aumentano esponenzialmente i fattori di rischio per l’uomo, come successo con il coronavirus. Ecco perché dobbiamo andare verso un’ecologia integrale, dove la questione ambientale non si riduca al solo pianeta terra, ma tenga insieme i tre elementi necessari per costruire il bene comune: terra, casa e lavoro”.