“Manca un committente, una cultura di fondo, una produzione estetica che parta dal principio basilare. In questo la Chiesa, oggi, deve fare ‘mea culpa’ per il tempo sprecato che è subito da recuperare”. Lo ha sostenuto Mario Botta, architetto internazionale, dialogando con l’artista Giuliano Vangi, durante il convegno organizzato dalla Conferenza episcopale toscana (Cet), in corso a Firenze presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale, sul tema “Per una comunità ospitale. L’arte come luogo di accoglienza nel tempo della ricostruzione”.
“Serve la sensibilità artistica che ha caratterizzato il tempo passato – ha proseguito Botta – perché in crisi non è l’arte cristiana ma l’arte stessa”.
Parole forti che hanno introdotto l’esperienza dello stesso architetto in Corea del Sud, dove ha progettato e diretto i lavori per una comunità che conta migliaia di persone. “Abbiamo lavorato con Giuliano Vangi mettendo innanzitutto davanti alle nostre idee il concetto di persona, di uomo, di questo uomo che qui vive e abita”.
Sono state proiettate in sala, infatti, slide dell’edificio di culto iniziato nel 2011 ed ancora in fase di ultimazione: un grande crocifisso in titanio e in legno, due icone raffiguranti l’Annunciazione della Vergine e l’Ultima Cena, opera di Vangi.