Nel solo mese di settembre l’Amazzonia ha perso ogni giorno un’area pari a oltre 4mila campi da calcio, più di 1.220 chilometri quadrati, equivalenti all’intera superficie di Roma. È il dato peggiore degli ultimi dieci anni. A causa di incendi e deforestazione, ogni anno il pianeta cede un pezzo del proprio “polmone verde” per far posto a coltivazioni di soia e allevamenti di bestiame, ma anche impianti minerari e pozzi per l’estrazione d’idrocarburi. E il contagio da Covid-19 si è diffuso rapidamente tra le popolazioni indigene e le altre comunità che storicamente abitano e custodiscono il bacino amazzonico, minacciandone la sopravvivenza stessa. Per sostenere i “custodi” della foresta, Cospe lancia la campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi “AMAzzonia” con l’obiettivo di dare voce a chi non ne ha e realizzare progetti concreti di tutela e difesa ambientale. Da gennaio a settembre quasi 9mila chilometri quadrati di foresta sono andati in fumo, il 39% in più rispetto al 2020. Con l’arrivo al governo del presidente Jair Bolsonaro è stata spianata la strada ai predatori: agrobusiness, industria mineraria, compagnie energetiche, commercio di legnami pregiati. C’era anche il Brasile tra gli oltre cento Paesi riuniti a Glasgow per la Cop-26, che lo scorso 2 novembre hanno siglato l’intesa per lo stop alla deforestazione entro il 2030: “L’accordo ha tutta l’aria di essere un’operazione di facciata utile a rifarsi un’immagine compromessa da anni di politiche scellerate. ‘Greenwashing’ per sedare le proteste delle strade. Non funziona”, commenta il presidente di Cospe, Giorgio Menchini. Come documenta la Fao, le popolazioni indigene sono i migliori “custodi della foresta”: il tasso di deforestazione è nettamente inferiore nei territori dove le autorità pubbliche hanno riconosciuto loro il diritto di proprietà e sono in prima linea contro le invasioni dei nuovi colonizzatori. Non a caso ogni anno si moltiplicano le aggressioni nei confronti degli attivisti ambientali. Il 2019 ha registrato 212 omicidi, il numero più alto in assoluto, soprattutto in Colombia, Filippine e Brasile. “C’è dunque bisogno, oggi più che mai, di scendere in campo e schierarsi a fianco di chi difende la terra di tutti”, sottolinea il Cospe, che realizzerà progetti di tutela ambientale a favore di popolazioni indigene e comunità locali in Brasile, Colombia e Bolivia. Info sul sito di Cospe.