“Pandemia, chinarsi, comunione”: sono le tre “parole-chiave” che “possono aiutarci a comprendere la nostra epoca”. Lo ha detto, stamattina, il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, intervenendo sul tema “Ruolo del laicato nella Chiesa di oggi” al XXVII Congresso nazionale dell’Associazione medici cattolici italiani (Amci), in corso a Roma.
“Per capire appieno cosa sia pandemia occorre rifarsi all’insegnamento del Concilio Vaticano II” sulla necessità di “lasciarsi interrogare dai ‘segni dei tempi’ e porsi nella giusta prospettiva del ‘servizio all’uomo’. Il servizio all’uomo si esercita leggendo i segni dei tempi. Non oso parlare di profezia in senso stretto, ma di voce profetica della Chiesa, sì”.
“Stiamo vivendo non solo un periodo di ‘profondi e rapidi mutamenti’ ma, come più volte ha detto Francesco, un grande mutamento d’epoca”. Di qui una domanda antropologica fondamentale: “Chi sono io, oggi”, “nelle mie relazioni affettive, professionali, associative, di fede. Se questa domanda non si pone in modo serio, tutto il resto è costruito sulla sabbia. Quali relazioni ho costruito, quali ho mantenuto, quali ho smantellato in tempo di pandemia? Ho indossato – oltre che la mascherina d’obbligo – una maschera, o sono in grado di pormi di fronte ad un segno dei tempi epocale?”.
Per il card. Bassetti, “la ‘pandemia’ suscita, dunque, molti interrogativi e che ci invita a riflettere sulla morte e su tutte quelle domande che investono il morire: ovvero l’elaborazione del lutto oppure i confini tra vita, respiro, soffio vitale e morte. Oggi c’è un inquieto dibattuto pubblico sull’eutanasia”. In particolare, “suscita una grave inquietudine la prospettiva di un referendum per depenalizzare l’omicidio del consenziente” e soprattutto oggi, davanti ai medici, “è necessario ribadire che non vi è espressione di compassione nell’aiutare a morire, ma il prevalere di una concezione antropologica e nichilista in cui non trovano più spazio né la speranza né le relazioni interpersonali”. Infatti, “chi soffre va accompagnato e aiutato a ritrovare ragioni di vita; occorre chiedere l’applicazione della legge sulle cure palliative e la terapia del dolore”.
“Non dobbiamo quindi cedere di fronte a questa cultura dello scarto ma opporre invece una cultura della vita. Che è prima di tutta una cultura dell’amore, della gioia e del prendersi cura degli altri”, l’invito del presidente della Cei.
E “se è vero che la pandemia è stato un segno dei tempi che ha portato con sé un insieme di domande sull’uomo e sull’umano”, “la forza dell’Associazione dei medici cattolici risiede nel poter offrire risposte a queste domande. Risposte che portano con sé la duplice valenza di testimonianza personale e di alta qualità professionale. C’è infatti una domanda semplice che ciascun paziente porta con sé: ‘Aiutami, con la tua presenza di medico, a vivere bene’. E l’altra domanda: ‘Non lasciarmi solo’ . Per rispondere a questa domanda non serve solo la competenza ma anche la capacità di amare il prossimo”.