“Chinarsi” è la seconda parola sulla quale il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, ha invitato a riflettere intervenendo, stamattina, al XXVII Congresso nazionale dell’Associazione medici cattolici italiani (Amci), in corso a Roma. “Una parola – ha osservato – che può essere declinata in due modi: la prima, è quella sanitaria, ovvero andare verso il malato; la seconda la si può riassumere nel fatto che ciascuno di noi ha bisogno di un ‘buon samaritano’ che si chini su di lui”.
Il porporato ha osservato: “Chinarsi è l’opposto di indifferenza, l’opposto della contemporanea ‘cultura dello scarto’, e nella ‘clinica medica’ ha una sua specifica configurazione. Alcune risposte di alto valore scientifico di fronte alla pandemia son venute dal clinico, da colui che si è chinato sul paziente, ne ha studiato e capito i sintomi, e ha posto in primo piano la persona che aveva di fronte. Ha cercato di capire. Il ‘clinico’ è il cuore dell’essere medico”.
Chinarsi, inoltre, “è agire rispettando il valore intrinseco e intangibile di chi è posto di fronte a me: è una modalità d’agire che implica il riconoscimento della presenza dell’altro e, al tempo stesso, di riconoscenza per le capacità professionali che possediamo”. Chinarsi significa anche “uscire da un paternalismo freddo, per giungere ad una reale capacità di ascolto, di comprensione, di esercizio della professione medica che è consapevole, come lo è ciascuno di voi, che curare ha la duplice valenza del ‘guarire ove possibile’ e del ‘prendersi cura sempre e in ogni caso’. È cioè una risposta ‘fisica’ alla richiesta ‘non lasciarmi solo’. Nel fare questo c’è l’esemplarità del medico cristiano, perché ha un di-più-spirituale che risponde alla domanda fondamentale su ‘chi sia mio fratello’. Quest’ultima domanda mi risulta essere obbligatoria per noi”.
Il cardinale ha poi evidenziato che “non si può chinare la testa di fronte al male comandato da una legge ingiusta, e oggi sembra quanto mai necessario richiamare questi principi: occorre sempre difendere l’irrinunciabile valore e l’intrinseca dignità della vita umana dal suo inizio al suo naturale compimento”. Di conseguenza, “l’obiezione di coscienza e il diritto alla libertà di coscienza da parte dei medici e dei professionisti sanitari è un diritto fondamentale che necessita di una testimonianza coerente tra i valori affermati e quelli vissuti in concreto nella professione” .
“So bene – ha aggiunto – quanto sia difficile vivere da cristiano la professione di medico. E quanto è stato difficile e rischioso fare il medico durante la pandemia”. Tutto ciò ha bisogno di qualcuno che “si china” su “ciascuno di noi a rinvigorire la nostra fede. Una fede non nell’eccellenza del progresso fine a sé stesso, né una fede esclusivamente basata su fredde regole procedurali, ma la fede, vera, in Cristo, che per primo si è chinato sull’umanità con una parola di salvezza integrale. I medici hanno quindi un bisogno fortissimo del cristianesimo, ma allo stesso modo ‘Cristo ha bisogno delle nostre mani’, ha bisogno del nostro chinarsi. Possiamo osservare come il ‘medico’ sia un ‘laico specializzato’ nel chinarsi”.