“C’è bisogno di ricominciare su nuove basi per non sprecare l’occasione di questa crisi mondiale, perché diventi un nuovo inizio e non una storia di degrado o peggio ci separi gli uni dagli altri. Qui c’è la nostra responsabilità, certamente come singoli ma anche come comunità di uomini e donne di fedi diverse. Ricominciamo insieme! Questo è l’auspicio”. Lo ha detto Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, aprendo questo pomeriggio a Roma l’Incontro internazionale “Popoli fratelli, terra futura”. Sono presenti nell’Auditorium del Convention Center “La Nuvola” leader delle grandi religioni mondiali e rappresentanti del mondo della cultura e delle istituzioni, provenienti da 40 Paesi del mondo. Alla cerimonia prenderanno la parola il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, l’arcivescovo di Canterbury e primate anglicano, Justin Welby, il presidente della conferenza dei rabbini europei, Pinchas Goldschmidt, lo sheykh vicario del Grande Imam di al-Azhar, Mohamed Al-Duwaini, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese e lo sheikh Nahyan bin Mubarak Al Nahyan, ministro della Tolleranza e della Convivenza degli Emirati Arabi Uniti. “La domanda di fondo di questo incontro – ha affermato Impagliazzo – è: come porre le basi per un mondo nuovo mentre abbiamo addosso ancora le ferite provocate dalla pandemia? Ci sono ferite gravi, profonde che non hanno risparmiato nessun popolo e nessuna nazione: l’altissimo numero dei morti (specie di persone anziane), il grande numero di persone senza lavoro, bambini e giovani senza la scuola, una crisi sociale diffusa. Siamo di fronte a queste ferite che toccano il corpo dell’umanità intera. Sentiamo una forte responsabilità di dare una risposta che aiuti il mondo a curare queste ferite”. “Non siamo soli con le nostre responsabilità”, ha concluso il presidente della Comunità di Sant’Egidio, “ma stiamo insieme e questo è un valore di cui essere riconoscenti”. “Lo facciamo insieme perché solo insieme ci si salva”.