“In un mondo che rifiuta la fragilità, un mondo in cui la morte non viene riconosciuta come il limite della vita ma come la via d’uscita di cui disporre a piacimento per sfuggire alla fatica, nostra e degli altri, a farcene carico, è difficile scorgere nel Crocifisso l’appello alla partecipazione alle sofferenze dell’umanità tutta, soprattutto di quanti sono rifiutati e disprezzati. Ed è pure evidente la fatica dell’uomo contemporaneo a riconoscere che la vita possa scaturire solo dal sacrificio, che il frutto nasce da un seme che si lascia macerare nella terra, che la vita, vissuta fino alla morte come dono di sé, è capace di rigenerare il mondo, risorgere a vita nuova”. Lo ha sottolineato, oggi, l’arcivescovo di Firenze, card. Giuseppe Betori nella messa, nella cattedrale di Massa, per la solennità di San Francesco.
“Tutto questo è invece chiaro agli occhi di Francesco che proprio dall’incontro con il Crocifisso nella chiesetta di San Damiano trae la ragione per cui, come dice il suo primo biografo, egli ‘decise di disprezzarsi sempre più’ (Tommaso da Celano, Vita prima, VII, 17). Inizia così la via della croce per Francesco e su di essa dà forma all’intera sua vita, che alla Verna trova compimento, l’evento che suggella la vita del santo secondo il nostro Sommo Poeta, di cui ricordiamo il settecentesimo della morte”, ha affermato il porporato, evidenziando che, “tra i due sguardi contemplativi di San Damiano e della Verna, sta un cammino di umiliazione di sé che san Francesco compie con Gesù e come Gesù”.
“L’invito a essere piccoli – una condizione umana e spirituale strettamente collegata nel vangelo alla povertà, alla mitezza e all’umiltà – viene assunto da san Francesco nel collocare sé stesso e i suoi compagni nella posizione dei minori, una categoria che, senza perdere il suo carattere propriamente sociale, si arricchisce nella visione francescana di una dimensione tipicamente religiosa, in cui si riflette il riconoscimento della nostra condizione di creature. La minorità francescana, umana e spirituale insieme, diventa poi anche marginalità nel momento in cui Francesco frequenta i marginali, i lebbrosi”, ha aggiunto il cardinale, per il quale “essere piccoli, minori, marginali è una comprensione della vita in cui si uniscono dimensioni spirituali e sociali, secondo una visione incarnata della fede che fatica purtroppo a diventare convinzione condivisa tra noi, stretti come siamo tra le fughe spiritualistiche e le riduzioni socializzanti del Vangelo”.
“Essere piccoli, minori, marginali” è “tutto il contrario delle pretese dell’uomo moderno, che si vuole adulto, autonomo, autosufficiente, uscito per l’appunto dalla minorità. Ma ben conosciamo a quali rovine di decomposizione sociale e di frustrazione personale conduce questa pretesa di libertà senza confini e di una ragione che si fa assoluta. Tutto a prezzo della perdita di significato e soprattutto di speranza e quindi di responsabilità”.