“Vogliamo metterci in cammino. Forse da tempo eravamo fermi, come in attesa… Ora vogliamo riprendere, così come siamo – con tutte le nostre ferite, proprio come i due di Emmaus – il cammino. Vogliamo farlo insieme, come Chiesa, come comunità”. Lo ha detto il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, aprendo oggi, solennità della Beata Vergine Maria, Nostra Signora di Palestina, nel Santuario di Deir Rafat, il cammino sinodale delle diocesi cattoliche di Terra Santa, nel contesto più ampio del Sinodo Generale della Chiesa Cattolica, inaugurato da Papa Francesco lo scorso 9 ottobre. “Certo, spesso non è facile per le nostre diocesi essere insieme, a causa dei confini politici, distanze culturali, difficoltà di ricevere i permessi per spostarsi da una zona all’altra delle nostre diocesi: tutto sembra volerci tenere distanti” ha detto il Patriarca salutando le chiese di Galilea, Palestina, Giordania e Cipro unite oggi in preghiera. “Mettersi in cammino – ha aggiunto – è essere disposti a uscire, a cambiare, a guardare oltre la propria realtà ordinaria, a lasciarsi trasportare dalla potenza dinamica dello Spirito. Nella Chiesa non si parte mai da soli, ma sempre con gli altri, con la nostra comunità. Per questo, Gesù invia sempre i suoi apostoli due a due, gli stessi due di Emmaus”. In comunione, “realtà centrale in questo cammino che comincia certamente ad intra, dalle nostre famiglie, case religiose, parrocchie, movimenti e realtà ecclesiali, ma per poi estendersi ad extra, all’intera comunità cattolica e cristiana e più al di fuori che sia possibile. Siamo chiamati in questo momento a portare nel cammino sinodale questo respiro ampio, questo sapore di vangelo e di fraternità, questa apertura a molti, a tutti. Le nostre comunità possono essere laboratori di comunione, di fraternità e di dialogo, dando a questa Terra benedetta e ferita da tante divisioni politiche, sociali e religiose il gusto della comunione”. Pizzaballa ha invitato anche a guardare “a quelli che troppo spesso ignoriamo, che restano ai margini della nostra Chiesa. Siamo chiamati a invitare a questo viaggio coloro che non frequentano regolarmente la Chiesa, coloro che si sono allontanati. Aprirci e condividere il cammino”. La sfida è grande, ha avvertito il patriarca: “Sono tante le crisi che affrontiamo, sia nella Chiesa che nel mondo, ingenti le sfide che ci attendono, immensa la missione a cui siamo chiamati. Siamo circondati da tribolazioni che a volte ci gettano nella disperazione. Come i due di Emmaus, avevamo speranze che sono state deluse; abbiamo cercato comunità vibranti, eppure troppo spesso ci sentiamo soli; cerchiamo di essere riempiti di Spirito Santo, ma le nostre ansie ci bloccano la strada; cerchiamo Gesù nella nostra vita ed ecco, ci sembra che sia sparito, ma sappiamo però che viene a noi anche nei nostri fratelli e sorelle che camminano con noi, specialmente quelli ai margini delle comunità. Vogliamo prendere coscienza di tutti loro, non solo di quelli che parlano forte e chiaro, ma di quelli che troppo spesso tacciono, perfino quelli assenti”. Altro atteggiamento da coltivare nel cammino sinodale è la partecipazione e l’ascolto che significa “disponibilità ad ascoltare mentre camminiamo. Gli incontri e le iniziative programmate hanno proprio questo scopo, di creare occasioni di ascolto a tutti i livelli. Ascolto che sia illuminato dalla presenza del Signore, perché non diventi solo una litania di lamentazioni”. Nello stile di Emmaus che la Chiesa patriarcale intende seguire in questo cammino sinodale centrale è il richiamo alla Eucarestia e alle Scritture: “vogliamo rileggere le Scritture, la Parola di Dio che ci dà forza se la leggiamo con Gesù” per “alla mensa eucaristica, allo spezzare il pane”. “Noi non siamo chiamati solo a cercare le cause delle nostre ferite, quanto piuttosto di far sì che esse siano trasfigurate in Cristo. Anche le nostre ferite, personali, sociali ed ecclesiali possono essere trasfigurate dall’incontro con il Risorto”.