“Non vogliamo e non possiamo più assistere alle morti in mare, ai respingimenti lungo la rotta balcanica e alla frontiera tra Bielorussia e Polonia, né tanto meno alla chiusura di ogni via d’accesso al diritto d’asilo in Europa” è quanto si legge nella dichiarazione finale della settima edizione del Festival Sabir dal titolo “Le frontiere dei diritti e la pandemia” che si è chiusa oggi a Lecce (dal 28 ottobre). Il Festival – promosso da Arci insieme a Caritas Italiana, Acli, Cgil, con la collaborazione di Asgi, Carta di Roma, A Buon Diritto e il patrocinio della Rai, della Regione Puglia, della Provincia e del Comune di Lecce – si è svolto dal 28 al 30 ottobre a Lecce, ed è stata un’occasione di incontro e dibattito con persone migranti e rifugiati, esponenti della società civile italiana e internazionale, con politici e rappresentati istituzionali. “Ciò che auspichiamo – affermano gli organizzatori – è che, partendo da esperienze concrete, come i corridoi umanitari, le operazioni di salvataggio nel mediterraneo centrale delle Ong, le tante forme di solidarietà e vertenza alle nostre frontiere, si costruisca una alleanza di società civile per un Patto Europeo per i Diritti e l’Accoglienza e si apra un confronto stabile tra la dimensione nazionale delle vertenze e quella europea, con il coinvolgimento di quei parlamentari, nazionali ed europei, che vorranno contribuire a determinare un cambiamento reale”. “Il 2021 – si legge nella dichiarazione – è stato un anno drammatico e complesso sia per gli effetti della pandemia che per le conseguenze della crisi ambientale che costringe a un esodo forzato milioni di donne e uomini, mentre sono tante le persone che hanno subito e continuano a subire violenze e persecuzioni in tutto il mondo. Il Mediterraneo – viene ribadito – è una delle regioni del mondo intorno a cui si concentrano tante delle criticità e delle contraddizioni di un modello di sviluppo diseguale che, oltre a compromettere pesantemente l’equilibrio e il futuro del pianeta, produce povertà, discriminazioni e diseguaglianze. È necessario costruire alternative partendo dalla società civile, dalle sue organizzazioni e da relazioni orizzontali tra comunità locali”.