“Rivolgiamo un forte appello ai nostri leader mondiali perché includano negli spazi in cui si prendono le decisioni che danno forma alle politiche, dentro e fuori dal Cop26, le diverse voci globali di quelle che sono considerate le comunità marginali di tutto il mondo, e che, nella maggioranza dei casi, sono costituite dagli autentici guardiani degli ecosistemi, compresi gli indigeni, le comunità di agricoltori, i difensori dell’ambiente e dei diritti umani, gli esclusi, i poveri”. Risuona forte, davanti al Cop26 di Glasgow, che prenderà il via domani, l’appello – contenuto nel documento intitolato “Costruiamo una comunità planetaria che custodisca tutta la vita nella terra” -, rivolto dall’Alleanza delle reti ecclesiali per l’ecologia integrale, che raggruppa le realtà ecclesiali dei cinque Continenti impegnate nella difesa e promozione dei maggiori e più delicati ecosistemi, a partire dalla Repam (la Rete ecclesiale panamazzonica), per proseguire con la Rebac (bacino del Congo), la Raoen (Asia e Oceania), la Remam (Centroamerica e Messico), le realtà che si occupano in America Latina del bacino acquifero Guaraní, Elsia e Cidse (Europa), organismi nordamericani. Un’alleanza che è accompagnata dall’Istituto di ricerca Laudato si’ e dal Dicastero vaticano per il Servizio dello sviluppo umano integrale.
A partire dalla Dottrina sociale della Chiesa, e in particolare dalla Laudato si’ di Papa Francesco, le reti ecclesiali chiamano il Cop26 “alla costruzione di una nuova cultura basata sulla solidarietà, sulla giustizia, su soluzioni basate sul rispetto della natura, ispirata da testimoni di molte comunità, leader, rappresentanti ecclesiali e altri, che stanno operando intensamente per cambiamenti strutturali, in vista del bene comune”. Il documento sostiene che è necessario “un cambio di sistema economico”, e che l’incontro di Glasgow offra un’opportunità senza precedenti per cambiare direzione e intraprendere la transizione verso un nuovo modello economico e culturale, che ponga fine alle attuali forme e strutture ingiuste”. Realtà, del resto, ben visibili “nella difficile situazione delle nostre comunità, e nei territori che soffrono prima degli altri delle ingiustizie sociali e climatiche”.