“Non è semplice l’annuncio del Vangelo”, “ma cosa succede quando a queste difficoltà si aggiungono quelle dei territori in cui si vive, in preda allo spopolamento, minacciati da una morte progressiva che sembra inarrestabile?”: parte da questa domanda la riflessione di mons. Felice Accrocca, arcivescovo di Benevento, che sarà ospitata sul numero di novembre di “Vita pastorale”, anticipato al Sir. “Per incredibile che possa sembrare, una gran fetta d’Italia è stretta nella morsa di tali problemi, non soltanto quella povera (di mezzi e d’infrastrutture) del centro e del sud, ma anche quella ricca del nord, dove in più e più zone cinghiali e caprioli sopravanzano di gran numero le persone. La gente si accumula nelle periferie delle grandi città, spopolando le aree collinari e montane; l’economia favorisce questi flussi per tanti motivi, non ultimo perché le masse anonime sono più facilmente manipolabili, e la politica – persa dietro i sondaggi divenuti ormai pane quotidiano – sembra incapace di pensare oltre il quotidiano, che molto spesso si riduce a rincorrere il consenso”, osserva il presule. Ricordando l’impegno prima dei vescovi della metropolia di Benevento e poi il coinvolgimento di oltre venti vescovi provenienti da dieci diverse regioni d’Italia, in una due giorni, per elaborare pian piano una pastorale per le aree interne o, almeno, abbozzarne una qualche linea, mons. Accrocca ricorda che “in queste zone – e soprattutto al sud – sembra avere ancora una forte presa la religiosità popolare con le sue tradizioni e i suoi riti, che molte volte, però, prescindono pure da un vissuto di fede”. Come valorizzare, allora, l’esistente, purificando evidenti anomalie, evitando al tempo stesso di gettare quanto vi è di buono assieme all’acqua sporca? “Molti paesi, oggi soggetti a un decremento progressivo della popolazione, potrebbero ricevere sostegno dai flussi migratori sempre più frequenti. Ciò pone, tuttavia, il problema di pensare una pastorale attenta alle relazioni ecumeniche e interreligiose che, allo stato attuale, è in gran parte ancora sulla carta”. Le piccole parrocchie non possono portare avanti da sole tante attività, perché non dispongono delle forze necessarie. Ciò riporta in primo piano la questione delle cosiddette ‘zone pastorali’, anch’esse rimaste in gran parte un discorso di scuola. Eppure, le aree interne hanno anche straordinarie carte da giocare: qui è più facile educare all’ambiente e sono favoriti quei legami di solidarietà che, in altri contesti, lo Stato deve invece impegnarsi a garantire – peraltro in maniera non sempre efficiente ed efficace – con grosso dispendio economico”. Questi, precisa il presule, “sono solo alcuni dei nodi posti in evidenza nel corso dell’incontro di Benevento, il quale ha avuto senz’altro il merito di mettere a tema una questione che dovrà essere affrontata con serietà e competenza anche da teologi e pastoralisti. Per ora, intanto, s’è capito che la Chiesa c’è, vuole esserci e giocarsi fino in fondo. Se anche lo Stato intende affrontare la sfida batta un colpo”.