“L’integrazione è una nostra scelta, l’Ue è il nostro posto, non vogliamo andare da nessuna parte e vogliamo una Ue forte e coraggiosa”: così il premier polacco Mateusz Morawiecki intervenuto questa mattina nell’emiciclo di Strasburgo. Nel suo lunghissimo discorso ha preso le mosse elencando le sfide a cui è confrontata l’Europa oggi, prima fra tutte quella energetica che per la sua portata “potrà scuotere le radici della fondazione dell’Ue e avere un effetto domino in altre aree”. “Non possiamo affrontare tali problemi da soli. Questi sono anche i nostri problemi”, ha affermato Morawiecki, i problemi di una Polonia che “ha ricevuto molti benefici dall’integrazione”, ma non è entrata nell’Ue “a mani vuote”. La Polonia ora vuole partecipare nella trasformazione economica post-pandemia, difendere i principi di libertà dell’Ue “ma non paradisi fiscali, come fanno altri Paesi”, è favorevole a un forte allargamento dell’Ue ai Balcani occidentali, vuole una forte politica di difesa”. Ha con forza sottolineato che oggi “è la Polonia che difende i confini orientali dell’Ue”. Ma dalla Polonia si osserva che “le divisioni tra vecchi e nuovi membri, più forti e più deboli si sta approfondendo”: invece “le regole del gioco devono essere uguali per tutti”.
Ciò che la Polonia rifiuta è che si “espandano le competenze delle istituzioni come fatto compiuto, che si impongano sentenze che non hanno base legale, che si usi il linguaggio delle minacce. Morawiecki ha quindi spiegato che “la premazia delle norme Ue è relativa ai livelli di competenza politica dell’Ue”, perché l’”Ue non è uno Stato”. E perciò la Corte polacca ha posto “la questione di quale sia la linea di demarcazione delle competenze”. Ma in ogni caso la legge Ue non ha autorità sulle costituzioni, e ha citato esempi di sentenze di diversi Paesi a sostegno della sua affermazione. “Vogliamo avere sempre più in comune, ma dobbiamo accordarci che le differenze esistono e l’Ue non cade se i nostri sistemi legali sono diversi e se decideremo di unificare i sistemi legali, sarà con una decisione da parte degli Stati membri”, non con una “rivoluzione che sta avvenendo di nascosto, con verdetti della Corte europea di giustizia”. “Se si vuole uno Stato sovranazionale lo si chieda e si cerchi il consenso”. Ma ci vorrà il dialogo e regole diverse da quelle attuali. Il premier ha concluso invocando “un’Europa grande e potente, un’Europa che resista ai regime autoritari che rispetti le culture e tradizioni che vede le sfide del futuro e lavora per soluzioni che siano il meglio per tutti: solo così potremo dare ai cittadini una nuova speranza”.