Al ruolo che la Chiesa cattolica ha avuto e ha tuttora nella diffusione della lingua italiana è dedicato l’intervento di mons. Dario Edoardo Viganò, vice cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, durante la presentazione del libro della professoressa Rita Librandi oggi a Roma, “La Chiesa e l’italiano: un cammino nel tempo e nel mondo”. Il docente ha evidenziato vari episodi in cui la lingua italiana è stata protagonista non solo per la storia del nostro Paese, come per esempio l’attività svolta nel secondo dopoguerra dall’Ufficio centrale per l’emigrazione italiana nei Paesi di destinazione dell’emigrazione, per la trasmissione della cultura tramite le scuole di lingua. “In sostanza – commenta – delle enclave di lingua italiana che hanno saputo mantenere vivo non solo la lingua italiana e agevolare la coesione dei gruppi migranti in una città straniera, ma ha spesso attivato processi di avvicinamento alla lingua con la costituzione di scuole di italiano”. Altro esempio riportato da mons. Viganò è quello legato al Discorso della Luna, ovvero il saluto in lingua italiana di papa Giovanni XXIII ai fedeli partecipanti alla fiaccolata in occasione dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, l’11 ottobre 1962 che venne trasmesso, per casualità, anche negli Stati Uniti. Infine, il docente riporta le considerazioni di Salvatore Claudio Sgroi, ordinario di Linguistica generale all’Università di Catania, sul linguaggio di papa Francesco. “Spesso – dice – si sorride dinanzi ad alcuni neologismi del Papa nel suo ricorso all’italiano come seconda lingua. Per la verità Sgroi ritiene che papa Francesco sia non solo innovativo nell’uso della lingua italiana, ma anche un modello per i nativi italiani. Infatti, al di là di alcune tracce spagnole che lascia trasparire, a livello sintattico, morfologico e lessicale si rivela invece “più italofono” degli stessi italo-nativi. Dove sta l’aspetto innovativo che diviene anche modello possibile? Nell’uso di forme neologiche che appaiono riprese dallo spagnolo, ma che in realtà sono parallele alle neotrasformazioni italiane (probabilmente proprio favorite dalla matrice etimologica neolatina dei due idiomi)”.