“Impostare la nostra esistenza mettendo al centro la Parola di Dio, che illumina tutte le situazioni della nostra vita, che illumina anche i momenti difficili, che trasforma gli imprevisti e perfino le tragedie in anelli della catena di una possibile e reale storia di salvezza e di redenzione. Tutto ciò a patto che ci fidiamo della Parola che Dio ci dice, e obbediamo alla Parola anche se può sembrare solo un sogno o una visione”. In queste parole, secondo il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton, sta l’insegnamento che san Giuseppe – “pur senza mai dire una parola” suggerisce ai cristiani. Nella messa celebrata oggi pomeriggio a Betlemme, nella Grotta del latte, luogo della prima sosta della Sacra Famiglia in fuga verso l’Egitto dopo l’editto di Erode, padre Patton, nell’anno dedicato a san Giuseppe, Patrono della Chiesa cattolica, ha posto l’accento sull’attualità di questa figura: “Egli ci insegna che è fondamentale che ci prendiamo cura del bambino Gesù e di sua madre, cioè permettiamo a Gesù Cristo di rimanere vivo in noi, anche e soprattutto quando ci troviamo a vivere in un ambiente ostile, che vuole eliminarlo. Se ci prendiamo cura del bambino e di sua madre, anche attraverso di noi continuerà a realizzarsi la Scrittura, oggi”. “Giuseppe – ha aggiunto il Custode – si trova costretto a emigrare, non perché sogna un luogo migliore o una condizione economica più ricca, ma perché deve scappare da un ambiente ostile, da una situazione di violenza e di guerra e deve – per senso di responsabilità e per vocazione – prendersi cura delle persone che ama, dei suoi familiari e cercare di tutelare la loro incolumità, la loro vita, la loro sopravvivenza, il loro futuro”. Una condizione che riflette quella “in cui si trovano molti dei nostri cristiani di Terra Santa, di Gaza e di Betlemme, della Siria, del Libano e dell’Iraq, ma anche di molti altri Paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, anch’essi in fuga, non per scelta ma per necessità. Anch’essi in esilio perché costretti a cercare un lavoro altrove. Anch’essi spinti ad emigrare da una situazione che non permette a loro e alle loro famiglie di vivere con dignità a casa propria, perché la guerra li ha sradicati dal proprio Paese e li ha resi profughi, o perché le difficoltà economiche li hanno costretti a cercare altrove un futuro per sé e per i propri cari”. Per questi motivi “celebrare qui a Betlemme, in questo luogo della prima sosta della Santa Famiglia sulla via della fuga in Egitto, deve perciò renderci più sensibili verso chi si trova oggi nella situazione di Giuseppe, che è costretto a prendere con sé il bambino Gesù e sua madre Maria e scappare. Se ciò non accade tutta la nostra devozione sarà inutile. Quello che Giuseppe ha fatto per Gesù e Maria è quello che Gesù ci chiede di fare oggi per coloro nei quali Lui continua a identificarsi”.