“Non basta ricostruire ma è necessario rigenerare questa terra”. Lo ha detto al Sir il vescovo di Rieti, mons. Domenico Pompili, a margine della cerimonia della posa della prima pietra di Casa Futuro, uno dei più impegnativi progetti di ricostruzione privata nelle zone colpite dal terremoto dell’agosto 2016. La nuova struttura, promossa dalla diocesi di Rieti e dall’Opera nazionale per il Mezzogiorno d’Italia, sorgerà nell’area del complesso “Padre Giovanni Minozzi”, edificio storico di grande importanza per Amatrice e per tutto il territorio circostante che fin dalla sua nascita, nel 1920, è stato “un luogo di trasmissione del sapere e di accoglienza” grazie alla presenza dei padri della Congregazione Famiglia dei discepoli della Fondazione Don Minozzi. Per l’esecuzione dei lavori l’Ufficio speciale per la ricostruzione (Usr) del Lazio ha emesso un decreto di contributo di 48 milioni di euro. Per mons. Pompili, “la rigenerazione passa attraverso i grandi obiettivi che Casa Futuro si propone: essere un luogo di accoglienza per giovani; diventare un riferimento per la filiera agroalimentare e dunque un punto di forza economica; essere un luogo di accoglienza per gli anziani; essere un punto di raccolta di servizi amministrativi, facenti capo al Comune, che serviranno a rimettere in moto la macchina dei beni comuni”. Mons. Pompili si è detto convinto che Casa Futuro non diventerà una cattedrale nel deserto “se cerchiamo di continuare ad alimentare quel processo di rigenerazione più ampio di cui Casa Futuro è tassello importante ma non esaustivo. Ciò significa fare in modo che le cosiddette aree interne possano essere rese più facilmente gestibili grazie anche a infrastrutture adeguate”. A tale riguardo il vescovo ha ribadito l’importanza del raddoppio della Salaria e della Ferrovia dei due mari che collegherebbe il Tirreno all’Adriatico, le Marche al Lazio, Ascoli a Roma. Si tratta di opere che favorirebbero “l’accessibilità di questi territori e la loro affidabilità in termini di opportunità di lavoro, di servizi a cominciare dalla salute e dalla scuola. Tutto ciò permetterebbe alle giovani famiglie di poterci restare. Si evitano cattedrali nel deserto se questi territori vengono messi in grado di fuoriuscire dal loro atavico isolamento e diventare spazi agognati per la loro grande qualità della vita e per il rapporto che c’è tra costi e benefici. Viverci sarebbe una scelta e non una congiuntura”. In questo senso il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) potrebbe essere un’opportunità da cogliere.