“Con il Pnrr abbiamo una grandissima occasione e dobbiamo saperla cogliere per trasformare lo smartworking in un’opportunità in grado di favorire una migliorare conciliazione tra famiglia e lavoro ed evitare che si trasformi in un’altra ghettizzazione per la donna”. Così Chiara Volpato, responsabile del Coordinamento Donne Acli, ha concluso, ieri sera, a Roma, il convegno “Donne, lavoro e pandemia” nel corso del quale è stata illustrata la ricerca dell’Istituto Toniolo da parte della docente Paola Profeta e della giornalista Tiziana Ferrario che hanno sottolineato come la pandemia abbia aggravato una situazione che era già molto difficile e che vede l’Italia agli ultimi posti nell’occupazione femminile e in una serie di altre voci, come la percentuale di laureate in materie Stem e la disparità salariale. “Bene la legge approvata alla Camera sulla disparità salariale ma non facciamo che diventi un ulteriore aggravio per l’azienda ma un vero strumento affinché si riduca il gender gap tra le lavoratrici e i lavoratori del nostro Paese”, ha dichiarato il presidente nazionale delle Acli Emiliano Manfredonia che ha parlato della “necessità di ripartire equamente i carichi del lavoro di cura tra uomini e donne, altrimenti diventa vano ogni tipo di lavoro agile”. Il professore Alessandro Rosina, nel suo intervento, ha messo in guardia sul rischio che “lo smartworking possa diventare un’altra misura che viene usata in maniera distorta, come è già successo con il part-time dopo la grande crisi del 2008 quando le aziende se ne sono servite principalmente per abbassare il costo del lavoro”.
Durante la tavola rotonda, è intervenuta la capogruppo del Pd al Senato, Simona Malpezzi, che sugli asili nido ha sottolineato come sia importante la loro implementazione, sfruttando anche le risorse del Pnrr, “perché oltre a favorire l’occupazione femminile sono un elemento fondamentale nel processo formativo dei nuovi cittadini”. La senatrice Donatella Conzatti si è soffermata su un elemento positivo del lockdown: “C’è stato un vero e proprio cambio culturale rispetto allo smartworking che prima interessava il 5% dei lavoratori e che invece ha toccato 7 milioni di lavoratori. Certo, quello non è stato vero smartworking ma un telelavoro dettato dalle necessità, ora bisogna strutturarlo meglio, dotando tutta Italia di una buona connessione e poi con alcuni paletti nei contratti come la sicurezza sui luoghi del lavoro, il diritto alla disconnessione e il diritto alla privacy”. Sul tema dello smartworking si è concentrata anche Livia Ricciardi della Cisl nazionale che ha sottolineato come “il lavoro agile non sia la salvezza ma una grandissima opportunità da cogliere sostenendo la contrattazione collettiva di secondo livello e prevedendo dei fondi pubblici che favoriscano l’utilizzo di questa nuova modalità lavorativa sia da uomini sia donne, in misura uguale”.