Il 4 gennaio la Magistrate’s Court di Londra ha respinto la richiesta di estradizione di Julian Assange negli Usa. “Abbiamo apprezzato la decisione di non estradare Julian Assange negli Usa e riteniamo importante che la corte abbia riconosciuto che, a causa delle sue condizioni di salute, Assange avrebbe rischiato di subire maltrattamenti nel sistema penitenziario statunitense”, ha commentato Nils Muižnieks, direttore per l’Europa di Amnesty international. “Tuttavia – ha precisato Muižnieks – le accuse nei confronti di Assange non avrebbero mai dovuto essere presentate: erano politicamente motivate e il governo del Regno Unito non avrebbe mai dovuto aiutare gli Usa dell’incessante ricerca dell’estradizione”. La richiesta di estradizione da parte degli Usa si basava su accuse che derivano direttamente dalla diffusione di documenti riservati nell’ambito del lavoro giornalistico di Assange con Wikileaks. “Rendere pubbliche informazioni del genere – secondo Amnesty – è una pietra angolare della libertà di stampa e del diritto dell’opinione pubblica ad avere accesso a informazioni di interesse pubblico. Tutto questo dovrebbe essere oggetto di protezione e non di criminalizzazione”. Se estradato negli Usa, Assange avrebbe potuto affrontare 18 capi d’accusa: 17 ai sensi della legge sullo spionaggio e uno ai sensi della legge sulle frodi e gli abusi informatici. Avrebbe anche rischiato gravi violazioni dei diritti umani tra cui condizioni detentive, come l’isolamento prolungato, che potrebbero equivalere a maltrattamento o tortura. Assange è stato il primo soggetto editoriale a essere incriminato ai sensi della legge sullo spionaggio.