“La Corte europea dei diritti umani non ha interrotto il proprio lavoro nel 2020”, nonostante la pandemia: per rispondere alla straordinarietà della situazione ha introdotto misure eccezionali, come l’estensione dei termini, ma “tutti i servizi della Corte hanno continuato a lavorare e la Grand Chambre, per la prima volta nella sua storia ha lavorato in video conferenza durante l’anno”.
Robert Ragnar Spanò, islandese, presidente della Corte oggi a Strasburgo ha presentato in conferenza stampa il bilancio dell’attività 2020 e ha risposto alle domande dei giornalisti. Nel 2020 si è registrato un calo del 6% dei nuovi casi rispetto al 2019 (41.700 nuove richieste), le sentenze emesse sono aumentate del 22%, ma ciò nonostante il numero di richieste pendenti a fine 2020 era di 62mila (per la maggior parte provenienti da Russia, Turchia, Ucraina, Romania), in aumento rispetto all’anno precedente. Questa resta la sfida principale per la Corte, a cui si sta già lavorando con una serie di innovazioni sul piano delle procedure. Nel suo intervento Spanò è tornato più volte sulla questione cruciale dell’indipendenza del giudiziario, tanto a livello di Corte europea quanto a livello nazionale, ma ha anche fatto riferimento ai “rischi” che la pandemia pone rispetto alla tutela dei diritti umani e agli “sforzi necessari perché il sistema risponda alle sfide”.
In relazione alla pandemia la Corte ha ricevuto 300 richieste legate alle misure provvisorie introdotte dagli Stati e 9 per divieti di manifestazioni in ragione del rischio contagio. Ed è proprio il mix tra la situazione mondiale posta in essere dalla pandemia e il “crescere di polarizzazione, divisione e sfide ai principi fondamentali” della Convenzione, che renderanno il 2021 “il periodo più difficile da anni”. Secondo Spanò “serviranno coraggio e determinazione” e che “ognuno, uomini politici, giudici e mass media, facciano la propria parte”.