La strage perpetrata giovedì scorso, 21 gennaio, a Baghdad (più di 30 morti, una novantina di feriti), rivendicata dai jihadisti dell’auto proclamato Stato Islamico (Daesh), ha suscitato ondate di rabbia tra la popolazione irachena, con critiche di passività e “debolezza” rivolte alle autorità politiche nazionali, accusate anche di non aver colpito con maggior crudezza i prigionieri di Daesh detenuti nelle carceri irachene. In questo contesto, riferisce Fides, nella giornata di ieri è stata eseguita la condanna a morte per terrorismo di tre jihadisti prigionieri nel carcere di Nassiriya. Attraverso i social è stata anche convocata proprio a Nassiriya la manifestazione – in programma per oggi, martedì 26 gennaio – per far pressione sull’esecutivo e chiedere “la morte dei jihadisti” detenuti, come forma di vendetta per i recenti attentati rivendicati da Daesh. Nelle stesse ore, indiscrezioni fatte filtrare sui media hanno riferito che gli ordini di esecuzione capitale già sottoscritti dal presidente iracheno Bahram Salih sono 340. Tra i detenuti condannati a morte in Iraq la maggior parte è rappresentata da jihadisti di Daesh, ma rientrano nel numero anche criminali comuni. Il governo iracheno ha proclamato la vittoria sui jihadisti alla fine del 2017, ma la strage compiuta giovedì scorso da due attentatori suicidi a un mercato dell’usato, nel centro di Baghdad, ha reso chiaro che adesso la strategia delle reti jihadiste punta a proseguire attraverso attentati terroristici che colpiscono nel mucchio e raid contro obiettivi mirati. Una legge irachena del 2005 prevede la pena di morte per chiunque sia condannato per “terrorismo”. Il curdo Barham Salih, che ricopre la carica di presidente dal 2018, in passato ha manifestato la sua personale avversione alla pena di morte. Ciò nonostante, anche nel 2020 in Iraq sono state eseguite più di 30 sentenze capitali. In tutto ciò, le comunità cristiane locali continuano a vivere la trepidante attesa per l’annunciata visita apostolica di Papa Francesco in Iraq, in programma dal 5 all’8 marzo. In questi giorni, e fino a mercoledì 27 gennaio, i cristiani caldei osservano il cosiddetto “Digiuno di Ninive”, tre giorni di digiuno e preghiera condivisi per fare memoria della conversione di Ninive a seguito della predicazione del profeta Giona. Quest’anno, il patriarca caldeo Louis Raphael Sako ha invitato tutti a pregare e digiunare “per la salvezza dall’epidemia di Coronavirus” e “anche per la buona riuscita della visita di Papa Francesco a marzo”.